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Il Foglio AI

Dalla pubblicità alla sceneggiatura: così l'AI sta liberando i creativi dai compiti più ripetitivi

In un tempo in cui la creatività è minacciata dalla standardizzazione, l’intelligenza artificiale sta offrendo agli autori, sceneggiatori, illustratori e giornalisti una possibilità: affidare alle macchine le incombenze più meccaniche per recuperare tempo, lucidità e libertà 

Quando nel 2023 ChatGPT cominciò a scrivere copioni pubblicitari, molti copywriter alzarono gli scudi: “Ci ruberà il lavoro”. Due anni dopo, alcuni degli stessi copywriter spiegano che l’AI ha fatto loro un favore. Ora i titoli più banali, i post ripetitivi per i social, le revisioni infinite ai testi legali li scrive una macchina. E loro possono tornare a occuparsi dei concept, delle idee, delle narrazioni. Possono creare.

Questa non è una fantasia futurista, ma una rivoluzione silenziosa già in corso nel mondo della creatività. In pubblicità, nel cinema, nei fumetti, nel giornalismo, l’intelligenza artificiale si sta rivelando una leva potente non tanto per sostituire gli umani, ma per restituire ai creativi ciò che più spesso manca: tempo, attenzione, lucidità. E se usata bene, l’intelligenza artificiale sta già dimostrando di essere una preziosa alleata.

La società americana R/GA, leader nel digital advertising, ha integrato nel suo flusso creativo un sistema AI chiamato Briefbot. L’obiettivo? Scrivere le prime dieci versioni di una headline o di una caption. Il direttore creativo lavora solo sulle tre che meritano di essere viste dal cliente. Il tempo risparmiato per team è stimato tra le dieci e le quindici ore a settimana. In un mondo in cui le agenzie vivono di tempi di consegna sempre più compressi, questo significa un ritorno a una creatività più centrata sul pensiero e meno schiacciata dalla ripetizione.

Lo stesso sta accadendo nel mondo dell’illustrazione e della narrazione grafica. Lo studio giapponese Kibou Creative ha dichiarato che, grazie a strumenti come Midjourney e Dall-E, il tempo di realizzazione di un concept visivo si è ridotto da quattro giorni a quattro ore. In Corea del sud, Webtoon sta sperimentando uno script AI per generare bozzetti narrativi su input degli sceneggiatori. Gli autori coinvolti spiegano che non si tratta di sostituzione, ma di accelerazione: “L’intelligenza artificiale non crea al posto nostro, ma accorcia la distanza tra l’idea e il prototipo”. E nel mondo più sensibile al tema della creatività, quello del cinema e della serialità, l’approccio sta diventando pragmatico. A Hollywood, il sindacato degli sceneggiatori ha firmato un accordo nel 2024 che consente l’uso dell’intelligenza artificiale per compiti tecnici: armonizzare dialoghi, controllare la continuità narrativa, tradurre un testo. L’obiettivo, dichiarato, è “mantenere il controllo autoriale”. Lo sceneggiatore Noah Pink, creatore della serie Genius, racconta che usa GPT-4 per simulare risposte dei personaggi, riformulare passaggi, verificare la coerenza cronologica. Ma precisa: “La storia, il tono, la voce sono miei. E restano miei”.

Nel giornalismo e nel podcasting il cambiamento è altrettanto tangibile. Secondo il Reuters Institute, il 62 per cento delle testate europee utilizza l’intelligenza artificiale per preparare bozze, trascrivere interviste, suggerire titoli. Il tempo medio risparmiato è di 2,4 ore al giorno per giornalista. Nei podcast, piattaforme come Descript e Riverside consentono di tagliare automaticamente intercalari e pause, liberando tempo per la scrittura delle domande e la cura narrativa dell’episodio. I giornalisti delle testate più innovative parlano dell’intelligenza artificiale come di un assistente editoriale affidabile, che non solo risparmia tempo, ma stimola idee, suggerisce nuove angolature, individua incoerenze e distorsioni che sfuggono allo sguardo umano.

Nemmeno la narrativa letteraria è rimasta immune. L’autrice americana Robin Sloan ha utilizzato un modello GPT personalizzato per scrivere più versioni di descrizioni da cui poi selezionare. Il tedesco Tom Hillenbrand ha usato l’intelligenza artificiale per testare la coerenza interna del suo romanzo. Sloan ha scritto: “Ogni volta che l’AI mi libera mezz’ora di lavoro noioso, è mezz’ora che posso dedicare a far piangere, ridere o tremare il lettore”. E proprio nella narrativa emergono alcuni dei casi più curiosi: autori che usano modelli per creare dizionari dei personaggi, per valutare l’efficacia emotiva di un passaggio, o per costruire vere e proprie mappe logiche delle interazioni tra figure e capitoli. Molti di questi strumenti, fino a ieri considerati sperimentali, stanno diventando routine. L’intelligenza artificiale non ha solo reso più rapida la fase di produzione: ha reso meno solitaria quella di ideazione. Nella fase più embrionale di un progetto creativo, la possibilità di confrontarsi con un “interlocutore” immediato, non giudicante, instancabile e adattivo si rivela per molti stimolante. Alcuni scrittori parlano dell’AI come di un primo editor silenzioso. Altri come di uno specchio delle proprie intenzioni. Altri ancora la trattano come un archivio vivente di suggestioni. In tutti i casi, la posta in gioco è la stessa: liberare il gesto creativo dal peso dell’ingranaggio produttivo.

Non è una rivoluzione senza rischi. Ma è una rivoluzione che, per ora, sta andando in una direzione diversa da quella che molti temevano. L’AI, se impiegata con intelligenza, non toglie lavoro, ma toglie peso. Non ruba voce, ma la amplifica. Non pensa al posto nostro, ma ci dà il tempo di pensare davvero. Non crea il contenuto: crea le condizioni per potergli dare forma.

Un recente studio condotto da OpenAI e dalla University of Pennsylvania stima che nel settore creativo e dei media l’intelligenza artificiale avrà un impatto trasformativo sul 44 per cento delle mansioni, ma solo sul 3 per cento in termini di sostituzione. In altre parole: se lo useremo bene, non perderemo il lavoro. Potremmo tornare ad amarlo. E potremmo, forse, tornare a raccontare storie come si deve: per scelta, e non più per consegna.