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Foglio AI
Cara Italia, l'Europa vale più di un sondaggio. Perché i volenterosi contano, anche quando parlano soltanto
I volenterosi europei tornano in campo: pochi, ma determinati. Parlano a voce alta quando il silenzio è la scelta più comoda
C’è una categoria dello spirito europeo che torna utile ogni volta che il mondo sembra sul punto di liquefarsi: quella dei volenterosi. Un concetto un po’ fuori moda, che profuma di pragmatismo ottimista, di ricette alla Monnet e di diplomazia che prova a compensare, con l’energia dei pochi, l’indecisione dei molti. Venerdì, durante il summit della Comunità politica europea a Tirana, Macron, Starmer, Merz e Tusk hanno fatto esattamente questo: si sono riuniti con Zelensky, hanno fatto sapere che chiameranno Trump prima della sua conversazione con Putin, hanno mostrato che l’Europa può agire anche quando non ha il potere di decidere. Non hanno firmato trattati, non hanno mandato nuovi carri armati, non hanno modificato i rapporti di forza. Ma hanno fatto una cosa che, in tempi di scoramento e di spin elettorale, è forse più importante: hanno parlato. Insieme. E a voce alta.
Non è poco. Non è mai poco quando si tratta di contrastare la forza centrifuga che spinge l’Europa a dissolversi in un insieme di sondaggi locali, di nervosismi nazionali, di pulsioni isolazioniste che si alimentano a vicenda. I volenterosi, in questo caso, hanno riportato al centro il punto vero: non c’è un’Europa da salvare, ma un’Europa da scegliere. E la si sceglie proprio nei momenti in cui sembra contare meno. Quando Trump torna alla Casa Bianca e preferisce un piano di pace che parte dal cessate il fuoco, anche se implica il congelamento dei territori occupati. Quando Putin rifiuta ancora di sedersi a un tavolo. Quando la guerra si trascina e i titoli di giornale si spostano altrove.
Perché i volenterosi sono importanti anche quando chiacchierano? Perché producono due effetti essenziali: danno forma a un’idea e danno fastidio a chi non ne ha una. Nel primo caso, offrono una direzione comune, una postura politica, una rappresentazione possibile dell’Europa come potenza normativa che può incidere anche senza la forza. Nel secondo, mettono a disagio chi preferisce restare in silenzio, chi prende tempo, chi aspetta l’esito delle elezioni americane per capire da che parte stare. La coalizione dei volenterosi è la prova che si può essere europeisti senza aspettare il consenso universale, senza avere dietro il peso dei carri armati americani. E’ una forma di pre-politica che ha dentro la memoria del metodo comunitario: cominciano in quattro, si muovono in sei, arrivano in ventisette. La telefonata a Trump, annunciata da Merz, è un esempio perfetto di questo gioco sottile tra diplomazia e posizionamento: non si tratta di convincere il presidente americano, ma di segnalare che il dialogo transatlantico non è finito, che l’Europa c’è, che può parlare con una voce sola anche se è formata da quattro accenti diversi. E che può prendere sul serio persino un piano di pace made in Usa, se serve a impedire che l’Ucraina venga lasciata da sola nel momento più difficile.
Certo, il cinismo aiuta: si può dire che è tutta scena, che nessuno dei quattro ha una linea condivisa, che le chiacchiere non fermano le armi. Tutto vero. Ma tutto irrilevante rispetto alla posta in gioco. In politica estera, come nella vita, il vuoto si riempie. Se l’Europa non lo fa, lo farà qualcun altro. Cara Italia, se vuoi contare qualcosa in questo momento di disordine mondiale, non chiedere un sondaggio per sapere cosa pensano gli italiani della guerra. Scegli da che parte stare. E fallo anche tu con chi ha deciso che l’Europa è più di una somma di interessi nazionali. Anche se si comincia a chiacchiere.