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Il Foglio AI
Il coraggio europeista di Starmer
L’accordo storico: difesa comune, giovani in mobilità, commercio più fluido
In un’epoca in cui la politica estera è ridotta a simboli, Keir Starmer ha fatto il gesto più politico che esista: ha firmato un accordo. E l’ha fatto con l’Unione europea, con la quale il Regno Unito ha avuto per anni rapporti modellati dal risentimento, dal sospetto e da un referendum maldigerito. I critici gridano allo scandalo per dodici anni in più concessi ai pescatori europei nelle acque britanniche. Ma Starmer, giurista e realista, ha ricordato a tutti che governare non significa difendere totem, ma scegliere cosa serve davvero al paese.
E cosa serve al Regno Unito? Serve far viaggiare i giovani, e un nuovo accordo di mobilità sotto i 30 anni li riavvicina all’Europa. Serve far camminare i turisti, e i passaporti britannici torneranno a sbloccare i tornelli elettronici negli aeroporti del continente. Serve esportare meglio, e l’allineamento degli standard sanitari renderà meno costosa e più rapida la circolazione delle merci. Serve partecipare alla difesa dell’Europa, e con il nuovo patto militare Londra potrà accedere al fondo europeo Safe da 150 miliardi.
Ma soprattutto, serve dire la verità: il Regno Unito ha bisogno dell’Europa, e l’Europa ha bisogno del Regno Unito. Dopo anni in cui Boris Johnson ha raccontato agli inglesi che si poteva avere tutto senza dare nulla, Starmer fa l’operazione più controintuitiva e coraggiosa: restituisce al Regno Unito un posto nel continente senza chiedere scuse né fare rumore. Non si rientra nell’Unione, ma si smette di giocare a fare i separati in casa. E’ il “reset” della Brexit, come lo ha chiamato lui. Un ripristino delle connessioni normali, concrete, utili.
Certo, non è un accordo privo di conseguenze politiche. Farage protesta, alcuni laburisti mugugnano, e nelle circoscrizioni costiere ci sarà chi si sentirà venduto. Ma anche lì, in quei porti spesso dimenticati, il 70 per cento del pesce finisce in Europa: senza accordi, senza standard condivisi, senza accesso ai mercati, anche il pescato più sovrano resta invenduto. L’accordo firmato da Starmer fa esattamente questo: riconosce che il patriottismo non sta nel gridare “le nostre acque!”, ma nel far arrivare il pescato sui piatti continentali.
Eppure, in mezzo a tutte le concessioni pragmatiche, l’intuizione più visionaria del premier è altrove. Sta nell’idea che essere europeisti oggi, nel 2025, non significa chiedere il rientro nella Ue, ma costruire legami intelligenti, solidi, futuribili. Non c’è romanticismo in questo accordo, ma una geometria della cooperazione che mancava dal 2016. E che Starmer, con un tratto di penna, ha fatto tornare possibile.