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Il Foglio AI

Il dollaro che costa tre volte di più

L’America capitalizza 3,8 volte il suo pil: forza o sopravvalutazione?

Per ogni dollaro di pil, l’economia americana vale sui mercati quasi quattro volte tanto. Per ogni dollaro prodotto nel resto del mondo, il prezzo di mercato è una volta e mezza. E’ tutto qui, in fondo, il dilemma degli investitori globali. E forse, anche il cuore della potenza americana: non tanto quello che produce, ma il prezzo a cui riesce a venderlo. I dati parlano chiaro. Il pil globale è oggi pari a 110 trilioni di dollari. Di questi, 30 vengono dagli Stati Uniti, 80 dal resto del mondo. Ma quando si guarda al valore complessivo dei mercati pubblici – azionario e obbligazionario – si scopre che l’America da sola capitalizza 115 trilioni, mentre tutto il resto del mondo arriva a 125. Con un differenziale clamoroso: ogni dollaro di pil americano vale sui mercati 3,8 dollari. Ogni dollaro di pil non americano, solo 1,5. Un premio del 250 per cento per il “dollaro made in Usa”. La questione è se sia giustificato. E se durerà. Gli ottimisti rispondono di sì. Perché l’America resta il paese che domina l’innovazione, la tecnologia, la difesa, l’energia. Perché i suoi mercati sono liquidi, profondi, affidabili. Perché quando arriva una crisi – una guerra, una pandemia, una recessione – il mondo compra dollari. E perché, soprattutto, gli Stati Uniti hanno un sistema capitalistico che premia la crescita, la scala e il rischio. Da Microsoft a Nvidia, da Amazon a Apple, da Treasury a corporate bond, è lì che si crea la parte più consistente del valore globale. E sì, se vuoi comprarla, la paghi cara.

Ma gli scettici iniziano a farsi sentire. Perché se è vero che il pil è solo una parte del valore, è anche vero che il prezzo è ormai ai limiti dell’assurdo. Che senso ha pagare tre volte di più un dollaro di economia americana rispetto a uno europeo o asiatico? E’ davvero razionale scommettere ancora una volta sull’America quando il resto del mondo – dall’India all’Indonesia, dal Brasile alla Corea – cresce più in fretta, costa meno, e ha molto più margine di sviluppo? E cosa succede se gli Stati Uniti si impantanano nella politica dei dazi, nel protezionismo finanziario, nel caos normativo interno? La verità è che nessun’altra grande potenza ha un prezzo così distante dal suo valore reale. E che, quando i tassi erano zero, questa distorsione sembrava sostenibile. Ma con un mondo a interessi più alti e crescita più bassa, anche gli investitori più affezionati all’American exceptionalism iniziano a chiedersi: e se fossimo alla fine di un ciclo?

Il punto, allora, non è se l’America meriti ancora di essere la più cara. Ma se chi la compra oggi sarà felice del suo rendimento domani. Perché il rischio non è che il mondo diventi meno americano. E’  che il premio per esserlo diventi, semplicemente, troppo costoso.