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Il Foglio AI

Mentre Trump indebolisce il dollaro, l'euro ha per la prima volta la possibilità, e la responsabilità, di diventare grande

Il dollaro sta perdendo centralità per ragioni politiche, spinte soprattutto da Donald Trump, aprendo uno spazio inatteso per l’euro come moneta di riferimento globale. Ma perché ciò accada, l’Europa deve completare l’unione dei capitali, pensare geopoliticamente e trasformare la sua stabilità in una forza narrativa e strategica

Forse non ce ne siamo accorti, distratti com’eravamo da elezioni, guerre e treni lenti. Ma sta succedendo qualcosa destinato a cambiare l’economia globale per i prossimi vent’anni: il dollaro si sta logorando. E non per cicli di mercato, ma per via politica. E’ Donald Trump il motore di questa erosione. Ogni sua mossa lo conferma. Come ha spiegato Kenneth Rogoff al Financial Times, la fase dell’“egemonia gentile” è finita: entriamo nel tempo del “declino accelerato”.

Il punto non è se il dollaro sparirà – nessuno lo prevede. Ma per la prima volta dal dopoguerra, la sua centralità viene messa in discussione. Non da un rivale diretto, ma da una serie di fattori: l’uso delle sanzioni come arma, la politica commerciale ridotta a ricatti bilaterali, e ora l’ipotesi – surreale – di un “Mar-a-Lago Accord” per ristrutturare i Treasury bond detenuti all’estero. In altre parole: un default selettivo, gestito a tavolino.

E qui entra in gioco l’Europa. Se la Cina non ha un sistema convertibile, se le criptovalute restano un’area grigia e le valute locali non possono reggere la competizione globale, allora l’euro – con tutte le sue imperfezioni – è l’unico candidato credibile a diventare la seconda moneta del mondo. O persino la prima, in certe aree.

Ma per farlo serve un cambio di passo. Non basta sperare nell’instabilità americana: bisogna voler diventare adulti. Avere una moneta forte non solo per il commercio interno o per piacere alla Bce, ma per contare davvero nel mondo.

In altre parole: l’euro deve diventare una moneta di riferimento. Cosa serve? Tre cose. Primo: completare l’unione dei mercati dei capitali. Finché un bond tedesco, uno italiano e uno francese sono trattati come titoli diversi, l’euro non sarà mai un vero bene rifugio globale. Lo sanno anche i cinesi. E ci scommettono contro. Secondo: pensare geopoliticamente. Trump può essere “il miglior alleato” del progetto europeo, perché ci costringe a prenderci sul serio. E’ il momento di usare la moneta come leva diplomatica: offrire credito in euro a paesi africani, creare strumenti per aggirare l’instabilità del dollaro, incentivare la diversificazione delle riserve. Gli strumenti esistono. Serve il coraggio. Terzo: raccontarlo bene. Una moneta globale è anche fiducia, prevedibilità, regole. Qui l’Europa ha un vantaggio: nessuno teme che Macron o Meloni dichiarino guerra a una banca centrale. La noia europea può diventare il nostro carisma monetario.

Il paradosso è che le occasioni si presentano quando si è meno pronti. L’euro è nato in tempi fiduciosi, è cresciuto tra crisi e diffidenze. Ora che potrebbe diventare adulto, i suoi genitori esitano. Ma l’ordine non basta più. Il mondo si muove verso un sistema a geometria variabile. Se l’Europa vuole contare, deve smettere di pensarsi come alternativa elegante. E diventare alternativa vera. Altrimenti resterà il continente delle occasioni mancate. Anche questa.