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Il Foglio AI

Le vittime illustri

Chi entra Papa, esce cardinale. Catalogo di speranze e ambizioni sotto l’occhio dello Spirito Santo

La Chiesa cattolica crede nei miracoli e nello Spirito Santo, ma nei conclavi opera anche un altro principio, misterioso e costante: “Chi entra Papa, esce cardinale”. E’ la profezia autoavverante più celebre del mondo ecclesiastico, temuta da ogni porporato aspirante al soglio pontificio. Da secoli, funziona con sorprendente regolarità.

Il primo caso illustre risale al 1294. Dopo due anni di sede vacante, i cardinali riuniti a Perugia sembravano destinati a scegliere il potente Matteo Rosso Orsini. Troppo ingombrante. Alla fine elessero l’eremita Pietro del Morrone, divenuto Celestino V, che presto abdicò sotto la pressione del suo successore, Bonifacio VIII, rimasto fino a quel momento defilato. Storia simile nel 1378: il favorito era Giordano Orsini, ma prevalse Bartolomeo Prignano, un outsider neppure cardinale, che divenne Urbano VI e causò uno scisma. Meglio l’imprevedibile del prevedibile.

Nel 1644, Giulio Cesare Sacchetti sembrava imbattibile, sostenuto dalla Francia e da Mazzarino. Ma la Spagna pose il veto. I cardinali elessero Giovanni Battista Pamphili, diventato Innocenzo X. Sacchetti passò alla storia come il papabile bruciato, sorte toccata nel 1655 anche a Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII. Troppi voti sicuri, troppe parentele: fu scelto Fabio Chigi, più sobrio, che divenne Alessandro VII.

Nel 1903, Mariano Rampolla del Tindaro, potente e raffinato, fu fermato dal veto dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Fu eletto Giuseppe Sarto, Pio X. Rampolla ne uscì dignitosamente, ma da sconfitto. Anche nel Novecento il principio non fallì: Giuseppe Siri, conservatore di peso, arrivò vicino all’elezione nel 1963 e nel 1978, ma fu sempre ritenuto troppo divisivo. Rimase cardinale.

Nemmeno i gesuiti sfuggono alla regola. Nel 2005, alla morte di Giovanni Paolo II, Carlo Maria Martini era il nome più autorevole, ma fu scartato con discrezione. Vinse Ratzinger, considerato un Papa di transizione.

Il conclave sviluppa un riflesso contro l’ovvio. I candidati perfetti insospettiscono. Chi ha fatto troppe manovre, parlato troppo con i media, viene percepito come poco spirituale. I cardinali temono due cose: l’ambizione e l’eccessiva visibilità.

Per questo, spesso vince chi è figura laterale, accettabile da molti, desiderato da pochi. Il Papa, per essere davvero tale, deve sorprendere. E chi vuole troppo esserlo finisce per assomigliare a un politico più che al successore di Pietro.

Morale per gli scommettitori: mai puntare sul favorito. Il conclave è il regno dell’imprevisto. Ma una certezza resta: chi entra Papa, esce cardinale.