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Il Foglio AI
A volte basta scegliere bene il titolo di un libro per restituire senso alla storia
Aldo Cazzullo, con Craxi. L’ultimo vero politico, propone un libro visivo e narrativo che rilancia il dibattito su una figura controversa, restituendole spessore storico e politico. Tra immagini potenti e riflessioni taglienti, il volume non assolve né condanna, ma invita a riconoscere in Craxi un protagonista reale e divisivo della storia repubblicana
Non sempre un libro si giudica da ciò che c’è dentro. A volte basta un titolo. Non perché il contenuto sia secondario, ma perché il gesto stesso di intitolare può essere un atto politico. Craxi. L’ultimo vero politico è il nuovo libro di Aldo Cazzullo, edito da Solferino, e già il nome sulla copertina basta a sollevare polvere: non tanto per l’autore, quanto per quel che scrive a caratteri cubitali sopra la foto in bianco e nero di un uomo con gli occhiali scuri e lo sguardo di chi sa di avere già ragione. Non è un saggio in senso stretto. E’ un libro costruito per immagini, fotografie spesso potenti, molte inedite, accompagnate da testi brevi ma taglienti, quasi didascalie narrative, che alternano la memoria al giudizio, l’aneddoto al racconto storico. C’è il Craxi giovane, il militante, il segretario, il presidente del Consiglio. C’è il tribuno dell’Assemblea dell’Onu e il protagonista di Sigonella, il riformista e l’uomo solo in esilio. Ma tutto questo – e qui sta la forza del progetto – è incorniciato da un’affermazione coraggiosa: l’ultimo vero politico. E’ su questo che si concentra il valore – e il rischio – del libro. In un tempo in cui la parola “politico” è quasi un insulto, e “verità” un concetto liquido, Cazzullo decide di restituire a Craxi la dignità piena del ruolo. Non nega gli errori, non nasconde Tangentopoli. Ma pone una domanda implicita, e potente: quando mai, dopo di lui, abbiamo avuto un leader con un pensiero lungo, una strategia internazionale, una visione sociale organica, una consapevolezza tragica del potere?
Non è un libro per nostalgici. E’ un libro che vuole, semmai, spiazzare. Perché Cazzullo non scrive da craxiano. Scrive da cronista, e forse anche da italiano che ha visto la politica impoverirsi, assottigliarsi, diventare spettacolo, algoritmo, diplomazia dei like. Il Craxi che emerge da queste pagine è ingombrante, divisivo, spesso arrogante, ma è soprattutto reale. Più reale di molte figure istituzionali di oggi, tutte così curate da sembrare trasparenti. Cazzullo lo mostra in momenti di potenza e di rovina, di orgoglio e di stanchezza. E lascia che siano le immagini – le strette di mano, gli sguardi, persino le foto con la famiglia – a dire ciò che i testi non possono.
Ci sono passaggi in cui si intuisce che il libro è anche una risposta, neppure troppo implicita, alla damnatio memoriae che ha colpito Craxi negli anni. Non per riabilitare, ma per riaprire la discussione. Per dire che, nel bene e nel male, la storia repubblicana non si spiega senza passare da lui. Non fu solo un corrotto. Non fu solo un innovatore. Fu un protagonista. L’ultimo, forse, a concepire la politica come un’arte drammatica, non come una sequenza di tattiche.
Il titolo, allora, non è solo un giudizio. E’ una tesi storica. Che non chiede consenso, ma attenzione. In un paese dove quasi nessuno osa più dire “questo era un vero politico”, perché tutti vogliono sembrare normali, amministratori di condominio, tecnici senza ideologia, Cazzullo dice: no, qui c’era un uomo che voleva guidare, non solo gestire. Che aveva amici e nemici, che si è compromesso e che ha provato a cambiare le cose. Che è finito male, anche per colpe sue, ma non solo.
Craxi. L’ultimo vero politico è un libro fatto bene. Ma è il titolo che conta. Perché ogni tanto, nella confusione della memoria italiana, serve qualcuno che dica: da qui bisogna passare. Anche solo per decidere da che parte stare.