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Il Foglio AI
Sovranità europea: ultima utopia o necessità storica?
Dialogo tra un intellettuale federalista e uno scettico del progetto comunitario, per la festa dell’Europa
L’intellettuale federalista: La domanda non è se dobbiamo cedere sovranità, ma se possiamo permetterci di tenercela. I singoli stati europei, da soli, non contano più nulla. La guerra in Ucraina, la pandemia, le tensioni con la Cina: tutto dimostra che senza una sovranità condivisa – militare, energetica, tecnologica – resteremo spettatori della storia. Il 9 maggio non è solo una data da cerimonie: è un richiamo a riformare il nostro destino comune.
Lo scettico del progetto comunitario: Sovranità europea è un ossimoro. Ogni volta che l’Europa parla di “più integrazione” perde legittimità. L’Unione si presenta come tecnica e neutrale, ma impone visioni ideologiche. Il problema è che non c’è un popolo europeo, non c’è un demos. Non si costruisce una nazione a colpi di regolamenti e direttive. Ogni 9 maggio celebriamo una promessa che maschera una crisi di fiducia.
Federalista: La fiducia si ricostruisce con il coraggio. E oggi serve il coraggio di fare dell’Europa un attore politico. L’alternativa è essere schiacciati tra Cina e Stati Uniti, o dipendere dalla Nato in eterno. Gli europei vogliono sicurezza, benessere, libertà. Tutte cose che un piccolo stato nazionale non può più garantire. La sovranità oggi o è europea, o è illusoria. Serve un bilancio federale, una difesa comune, una voce unica sulla scena globale.
Scettico: Ma chi decide cosa significa “sovranità europea”? I tecnocrati? I governi forti come la Germania, che impongono regole d’austerità mentre parlano di solidarietà? La parola sovranità è diventata una formula per coprire una realtà post-democratica. Il cittadino italiano o ungherese può solo ratificare decisioni prese altrove. Altro che progetto comune: qui si costruisce una centralizzazione senza popolo. Parlate di Europa come se fosse casa nostra, ma provate a spiegare a un agricoltore, a un artigiano, a un piccolo imprenditore cosa ha guadagnato davvero dall’integrazione. Spesso la sente come un insieme di obblighi, non di opportunità. Senza consenso concreto, la sovranità condivisa è solo una formula da conferenza.
Federalista: Questa è l’illusione dei sovranisti: pensare che tornare al passato ci salverà. Ma è stato proprio il nazionalismo a distruggere l’Europa due volte nel Novecento. Non si tratta di scegliere tra Bruxelles e la patria, ma di costruire una patria europea. Con simboli comuni, ma anche strumenti di governo veri. Perché il mondo oggi non aspetta: l’AI, il cambiamento climatico, le guerre ibride, non si affrontano con i confini del 1950.
Scettico: Con quali strumenti, però? L’Europa non è uno stato, né ha un popolo unitario. Le lingue, le storie, i modelli sociali sono troppo diversi. Le crisi recenti – migranti, Covid, energia – hanno mostrato che quando conta, ognuno pensa per sé. E’ la cooperazione tra stati sovrani, non la centralizzazione, che ha permesso di reagire. Il federalismo è un’idea nobile, ma fuori tempo massimo. Nessuno ci ha mai votato davvero.
Federalista: Fuori tempo è l’idea che le sovranità nazionali bastino. La guerra dei dazi, il dominio americano su chip e cloud, l’intelligenza artificiale che sfugge a ogni regolazione nazionale: tutto ci chiede un salto politico. L’unica scala possibile è quella europea. Se non vogliamo essere irrilevanti, dobbiamo unirci. Non è ideologia, è sopravvivenza strategica. Non possiamo pretendere peso senza rinunciare a qualcosa.
Scettico: Ma chi legittima questo salto? I trattati europei sono opachi, il Parlamento ha poteri limitati, la Commissione è lontana dai cittadini. Non basta dire “serve più Europa”. Bisogna spiegare a chi serve, e perché. Altrimenti continueremo a votare alle Europee come a un referendum sul disagio. L’Europa ha bisogno di confini, anche democratici. Di un nuovo patto fondativo, non di un’accelerazione tecnocratica.
Federalista: Se vogliamo una vera democrazia a livello europeo, dobbiamo costruirla. Il Parlamento deve contare, la scelta del presidente della Commissione deve diventare una sfida politica vera. Ma per farlo, serve identità, appartenenza, simboli. Il 9 maggio deve diventare come il 14 luglio in Francia o il 4 luglio in America. Una festa popolare, non solo istituzionale. Lo so, parlare di identità europea sembra un esercizio accademico. Ma guarda ai giovani che si muovono con l’Erasmus, agli ucraini che sventolano la bandiera blu con le stelle come simbolo di libertà. L’Europa può essere sentita, se è vissuta. La politica deve dare corpo a quell’esperienza.
Scettico: Senza una storia condivisa, senza guerre d’indipendenza, senza una cultura popolare comune, quel senso d’appartenenza resterà una costruzione astratta. L’Europa ha testa, non cuore. E funziona meglio come spazio di regole che come progetto emotivo. L’idea di sovranità europea rischia di trasformarsi in una dittatura della norma. Il diritto sostituisce la politica, e nessuno si accorge più che manca il consenso.
Federalista: Ma senza testa, il cuore non basta. E senza visione, il mondo ci travolgerà. Preferisco un’Europa che osa, che si mette in discussione, che agisce. La sovranità europea non è un’imposizione, è una scelta. Dire “siamo europei” non cancella le identità nazionali, le potenzia. E ci rende di nuovo protagonisti. Nessuno stato da solo può affrontare le sfide del secolo. Insieme, possiamo persino riscrivere il modello occidentale.
Scettico: O forse ci toglie l’unico potere che ci resta: decidere da soli. Magari sbagliando, ma scegliendo. La libertà è anche conflitto, anche divergenza. E forse su questo, almeno su questo, non ci metteremo mai d’accordo.