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“La Chiesa è sempre più grande delle nostre divisioni”. Dialogo tra due cardinali immaginari su cosa serve al prossimo pontificato

Tra fedeltà al Vangelo e apertura al mondo, si delinea l'urgenza di un pontificato capace di unire misericordia e verità, senza perdere l’essenza della missione cristiana

Cardinale Martinez (progressista): “Non possiamo ignorare il tempo in cui viviamo. Francesco ci ha insegnato che la Chiesa non è una cittadella chiusa, ma un ospedale da campo. I suoi gesti, la sua capacità di aprire, di avvicinare chi era lontano, sono stati il grande dono di questi anni. Il prossimo Papa deve proseguire su questa strada: una Chiesa che sa parlare al mondo di oggi senza paura, che non si trincera dietro dottrine fredde, ma si fa carne tra le ferite dell’umanità”.

Cardinale Reinhardt (conservatore): “Martinez, capisco il tuo entusiasmo. Ma io temo che abbiamo rischiato di perdere il centro. Francesco ha fatto molto per mostrare il volto della misericordia di Dio, ma talvolta ci siamo diluiti in una filantropia senza Cristo. Una Chiesa che accompagna è giusto, ma che accompagni a chi? Dove? Se non ricominciamo a parlare di Gesù, della sua croce e della sua resurrezione, non siamo altro che una Ong spirituale”.

Martinez: “Non credo che sia stato dimenticato Cristo. Al contrario, Francesco ci ha ricordato che il Vangelo si annuncia prima di tutto con la vita. Non si tratta di cambiare il contenuto della fede, ma di cambiare il modo di essere nel mondo. Se gridiamo la dottrina senza entrare nelle storie delle persone, se parliamo solo di peccato senza saper piangere con chi soffre, chi mai ci ascolterà?”.

Reinhardt: “Mi chiedo se non stiamo confondendo compassione e compiacenza. Gesù ha accolto i peccatori, sì, ma dicendo: ‘Va’ e non peccare più’. Il rischio è che, in nome della tenerezza, abbiamo attenuato la chiamata alla conversione. E senza conversione, la fede diventa solo uno slancio etico, non un incontro che cambia la vita”.

Martinez: “La conversione avviene quando l’amore precede il giudizio. Pensa a Zaccheo: Gesù entra in casa sua prima che lui prometta di cambiare. E’ l’amore a scatenare il pentimento, non la minaccia. Noi oggi dobbiamo offrire la possibilità di un incontro, senza mettere condizioni all’ingresso. E poi sì, chi incontra davvero il Signore non può restare uguale. Ma prima l’incontro!”.

Reinhardt: “E l’identità? Senza chiarezza sull’identità cristiana, cosa offriamo davvero al mondo? Francesco ha parlato giustamente di sinodalità, di camminare insieme. Ma camminare verso dove? Se ogni cultura, ogni sensibilità è legittimata senza più un riferimento saldo, rischiamo di dissolverci. La prossima guida della Chiesa deve riportare Cristo al centro, non l’umanità”.

Martinez: “La nostra identità non si perde nell’ascolto, si purifica. Ti ricordo che già Paolo, a Corinto, cercava di farsi tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno. Non temiamo il dialogo. Il prossimo Papa dovrà essere capace di radicarsi profondamente nel Vangelo, ma anche di entrare con intelligenza e umiltà nelle domande del nostro tempo: le ferite dell’ambiente, delle diseguaglianze, della pace minacciata. Non si tratta di mettere da parte Gesù, ma di riconoscere che Lui è già all’opera nelle doglie del mondo”.

Reinhardt: “Eppure quanta confusione! Vedi anche tu che in molte diocesi si fatica a trasmettere la fede: seminaristi che non conoscono il Catechismo, giovani che identificano la Chiesa solo con l’attivismo sociale. Il prossimo pontificato deve essere più missionario, più attento alla formazione. Non basta essere una Chiesa in uscita: dobbiamo essere una Chiesa che sa perché esce e cosa porta”.

Martinez: “E sai cos’è curioso, Reinhardt? Che alla fine anche tu chiedi una Chiesa che accompagna, solo che vorresti che lo facesse con più chiarezza dottrinale. Ma non siamo così lontani. Entrambi desideriamo una Chiesa viva, che non sia una reliquia”.

Reinhardt: “Sì, Martinez. Ma io credo che la vita della Chiesa non venga dal suo essere aggiornata, bensì dalla sua fedeltà. Non dobbiamo inventare nuovi Vangeli per piacere al mondo. Dobbiamo testimoniare, con umiltà ma senza paura, che solo Gesù salva”.

Martinez: “E io credo che la fedeltà autentica ci chieda di non temere di sporcarci le mani. Francesco ci ha mostrato che non si ama il mondo a distanza. Il prossimo Papa dovrà essere capace di sentire l’odore delle pecore, come ci ha insegnato, senza perdere il profumo del Vangelo”.

Reinhardt: “Forse è proprio questo il punto: come tenere insieme l’uno e l’altro. Come essere aperti senza smarrirsi, radicati senza irrigidirsi. Una sfida che nessun uomo da solo può vincere. Serve la grazia”.

Martinez: “Serve la grazia, sì. E forse, più di ogni nostro programma, serve che il prossimo Papa sia innamorato di Cristo e innamorato del mondo che Lui ha amato fino a donarsi”.

Reinhardt: “Su questo, fratello mio, possiamo pregare insieme”


Si alzarono, senza bisogno di dire altro. Il loro dibattito non aveva cancellato le differenze, ma le aveva rese parte di un’unica preghiera: che la Chiesa, anche nel prossimo pontificato, sia più grande delle loro divisioni.