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“Il Signore del Mondo” e la battaglia del prossimo conclave
Rileggere la distopia di Robert Hugh Benson per capire cosa scuote la Chiesa. Non una disputa di potere, ma una scelta tra complicità con il mondo e fedeltà a una verità irriducibile
Se c’è un libro che potrebbe spiegare più di mille articoli accademici il clima che accompagnerà il prossimo conclave, non è un saggio di geopolitica, né una lunga analisi sulle correnti cardinalizie. E’ un romanzo distopico scritto più di un secolo fa, “Il Signore del Mondo” di Robert Hugh Benson. Pubblicato nel 1907 da un prete inglese convertito al cattolicesimo, questo libro ha continuato a galleggiare sotto la superficie della cultura cattolica fino a che, un giorno, Papa Francesco lo ha riportato in alto, consigliandone apertamente la lettura. Non capita spesso che un pontefice raccomandi narrativa, e meno ancora narrativa così cupa e disturbante.
La trama, in fondo, è semplice: un carismatico leader mondiale – l’Anticristo, ma senza corna né fiamme – riesce a sedurre l’umanità predicando un’ideologia di unità globale, uguaglianza assoluta, superamento dei conflitti religiosi. Le persone, stanche di guerre e divisioni, accettano con entusiasmo. Il nuovo ordine sociale promette pace, prosperità, dignità per tutti, purché si rinunci a ogni verità particolare, a ogni trascendenza che metta in discussione il primato della ragione e della tecnica. In breve tempo, la Chiesa diventa l’ultima opposizione residuale, l’ultimo ostacolo a un mondo perfettamente amministrato. E il nuovo potere globale, nato per la pace, non esita a reprimere, eliminare, distruggere chiunque non si adegui.
Il paradosso profondo che Benson aveva intuito – e che Francesco ha visto riaffiorare nel nostro tempo – è che il male più pericoloso non arriva con la brutalità immediata, ma con la promessa di un bene universale spogliato di ogni verticalità. Non la persecuzione spettacolare, ma la neutralizzazione felpata. Non il martirio clamoroso, ma il disarmo culturale lento, sorridente, amministrativo.
In “Il Signore del Mondo” tutto questo si intreccia con una descrizione del declino religioso che sembra scritta per noi: le chiese svuotate, le liturgie ridotte a spettacoli culturali, la fede confinata nella sfera del privato come un vezzo pittoresco. La Chiesa cattolica, in quel mondo, non viene sconfitta sul piano politico: viene erosa dall'interno, marginalizzata fino a sembrare prima inutile, poi dannosa, infine pericolosa.
Francesco ha parlato spesso della “colonizzazione ideologica” come del grande rischio contemporaneo: il tentativo di riorganizzare l’umanità su basi completamente nuove, eliminando il dato naturale, la differenza sessuale, le appartenenze profonde, tutto ciò che non si può costruire a tavolino. In questo, la sua lettura di Benson è molto meno nostalgica di quanto appaia a prima vista: non è un richiamo a un Medioevo idealizzato, ma un avvertimento su una modernità che rischia di abolire persino il conflitto fecondo tra la fede e il mondo.
Il prossimo conclave, che si avvicina in un’atmosfera meno scenografica e più inquieta del solito, si giocherà anche su questa linea di faglia. I cardinali non si divideranno tanto su questioni puramente disciplinari o dottrinali. La vera domanda sarà: il prossimo Papa dovrà cercare una nuova alleanza con il mondo globale o dovrà accettare di essere un segno di contraddizione, come dice il Vangelo, anche a costo della marginalizzazione?
Il dibattito che Benson anticipa con straordinaria lucidità si ripresenta oggi nei modi più sottili. Un Pontefice più “accomodante”, abile nel dialogare con le grandi istituzioni globali, potrebbe portare a una Chiesa più rispettata, più integrata, forse più efficace nelle battaglie concrete (la pace, la povertà, il clima). Ma un Pontefice che scelga di riaffermare con forza il mistero cristiano, l’alterità irriducibile della fede, rischia invece una stagione di isolamento, di irrilevanza apparente, di minoranza vissuta come vocazione.
Nel romanzo, il Papa resta a Roma fino alla fine, mentre il mondo crolla sotto la pressione di un’unità falsa. Non abbandona il suo posto, non firma compromessi, non cerca scorciatoie diplomatiche. E’ un’immagine che può sembrare fuori tempo oggi, nell’epoca delle strategie e delle “relazioni istituzionali”. Ma forse è proprio questa fedeltà testarda, questa ostinazione a restare ciò che si è, che nel profondo spiega perché “Il Signore del Mondo” continua a inquietare i lettori contemporanei, da Francesco in giù.
Quando i cardinali si chiuderanno nella Cappella Sistina, la maggior parte dei commentatori leggerà l’evento in chiave di correnti, di geopolitica, di gestione del potere. E certo, tutto questo avrà il suo peso. Ma sotto il gioco delle alleanze visibili, scorrerà una domanda più seria: quale volto di Chiesa il mondo ha bisogno di incontrare oggi? Una Chiesa che spiega sé stessa come parte di un grande progetto di progresso umano? O una Chiesa che accetta di essere, sempre e comunque, la voce fuori coro, il fastidio che il potere non riesce a digerire?
In fondo, come aveva intuito Benson, non è mai il male a sembrare spaventoso all’inizio. E’ il bene a farsi inconsistente. E’ l’amore che si svuota di mistero. E’ la verità che si piega alla cortesia. E’ la fede che si riduce a emozione o a folklore. E proprio per questo, la scelta che i cardinali faranno nei prossimi mesi sarà anche una scelta tra due concezioni del tempo: quella di chi crede che il Cristianesimo possa sopravvivere solo diventando irrilevante, e quella di chi crede che sopravviva proprio nella sua irriducibilità.
Il prossimo Papa, chiunque sarà, non porterà con sé solo un’agenda o una sensibilità personale. Porterà con sé un modo di leggere il tempo presente. Se vedrà nel nostro mondo un potenziale alleato o un potenziale inganno. Se sceglierà di dialogare o di resistere. Se crederà che il futuro si conquista stando nel cuore del potere o rimanendone, a volte, dolorosamente ai margini.
Benson, con il suo romanzo profetico, ci ricorda che la vera battaglia della Chiesa non è mai quella per il potere, ma quella per il senso del tempo. E’ scegliere se essere custodi di qualcosa che il mondo non può assorbire o diventare manager di un’umanità perfetta e senza fede. Questo sarà, in fondo, il nodo silenzioso che si scioglierà nel prossimo conclave. E forse, anche senza rendersene conto, i cardinali staranno rispondendo alla stessa domanda che Benson poneva oltre un secolo fa: crediamo ancora che il mondo abbia bisogno di qualcosa che non sa dare a sé stesso?