Immagine generata da Grok

foglio ai

La Chiesa e l'AI: cinque anni di dialogo, limiti e speranze

Il Vaticano tra attenzione morale e desiderio di incidere. Sono nate alleanze e una sorprendente apertura  

Quando nel 2020 il Vaticano pubblicò le prime dichiarazioni ufficiali sull’intelligenza artificiale, qualcuno sorrise con sufficienza: come poteva un’istituzione bimillenaria, sospettata di lentezza, tenere il passo di una rivoluzione tecnologica così vertiginosa? Eppure, a cinque anni di distanza, il bilancio racconta una storia diversa. Senza la pretesa di competere con le potenze tecnologiche, ma nemmeno limitandosi a un ruolo di spettatore o Cassandra, la Chiesa cattolica ha cercato di portare nel discorso globale sull’AI qualcosa che altrimenti rischiava di mancare: il respiro dell’umano.

Il primo atto simbolico è stato il Rome Call for AI Ethics del 2020, promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita, firmato insieme a giganti come Ibm e Microsoft. Allora sembrava quasi un’operazione di buona volontà: si chiedeva che l’intelligenza artificiale rispettasse la dignità della persona, che fosse trasparente, inclusiva, affidabile. Sembravano princìpi ovvi, eppure quella dichiarazione aveva un merito: aveva gettato un seme di dialogo tra mondi spesso separati. Da lì si è iniziato a parlare di un’etica per l’AI  non come optional filantropico, ma come parte integrante dello sviluppo tecnologico stesso.

Nei cinque anni successivi, la Chiesa ha affinato la sua posizione. E’ andata oltre i grandi princìpi per interrogarsi su problemi concreti: chi risponde delle decisioni prese da un algoritmo? Come si protegge la libertà umana quando le macchine anticipano e condizionano le nostre scelte? Quale giustizia è possibile in un mondo dove gli strumenti predittivi rischiano di consolidare stereotipi e diseguaglianze? Il Documento “Algor-ethics”, aggiornato nel 2023, ha provato a dare una cornice: l’intelligenza artificiale, si legge, non può mai sostituire la coscienza, né essere usata per manipolare o controllare le persone sotto pretesto di efficienza.

“L’algoritmo deve essere al servizio dell’uomo, non il contrario”, è diventato un mantra ripetuto in vari discorsi papali, compreso quello di Francesco al G7 straordinario sull’intelligenza artificiale nel 2024, quando il Papa ha chiesto di fermarsi “un istante prima di oltrepassare il limite che trasformerebbe l’innovazione in dominio”.

Non è stato però solo un tempo di ammonizioni. In modo forse inatteso, la Chiesa ha anche promosso iniziative concrete per favorire un’AI “umana”: è nato, ad esempio, un Osservatorio permanente sull’IA e la dignità umana, che non si limita a pubblicare rapporti ma si occupa di formazione nelle università cattoliche di mezzo mondo. Dall’America Latina all’Africa, si sono moltiplicati corsi che insegnano ai futuri ingegneri non solo come costruire intelligenze artificiali, ma anche perché e per chi costruirle.

Alcuni ordini religiosi hanno avviato progetti sperimentali di uso etico dell’AI, soprattutto in ambito sanitario e educativo. Non si tratta di sogni astratti: in ospedali cattolici di Filippine, Kenya e Brasile si utilizzano già algoritmi diagnostici rispettosi delle indicazioni etiche vaticane, con audit indipendenti per verificare che non si producano discriminazioni implicite.

L’ambizione è chiara: non solo proteggere l’umano, ma formare una generazione capace di guidare la tecnologia con un orizzonte più ampio del profitto. E’ anche per questo che il Vaticano ha stretto alleanze con enti laici e persino interreligiosi: nel 2025, un documento comune tra Chiesa cattolica, comunità ebraica e musulmana ha stabilito i princìpi di una “carta mondiale sull’AI per la vita umana”, chiedendo che la tecnologia non sia mai usata per decidere della nascita o della fine di una persona, né per militarizzare la selezione biologica.

Non tutto, ovviamente, è stato accolto senza tensioni. Internamente, il mondo cattolico si è diviso. Alcuni teologi e intellettuali hanno visto nella prudenza vaticana il rischio di una resa culturale di fronte al potere tecnologico. Altri, più critici, hanno lamentato che i documenti prodotti rischiano di rimanere appelli ideali senza incidenza reale nel mercato dominato da stati e multinazionali.

Tuttavia, un elemento di originalità è emerso con forza: la consapevolezza che la sfida dell’AI non è solo tecnica o politica, ma spirituale. E’  una sfida all’idea stessa di che cosa sia l’uomo. Non a caso, gli ultimi testi della Pontificia Accademia insistono su una parola: relazione. Se l’intelligenza artificiale impara tutto da noi ma non può amare, se capisce ma non si dona, allora ricordare che l’essere umano è essenzialmente un essere-in-relazione diventa il vero argine contro ogni surrogato di umanità.

In fondo, è questo il paradosso su cui la Chiesa invita a riflettere: non siamo chiamati a imitare le macchine per essere più efficienti, ma a rimanere umani proprio là dove le macchine non potranno mai arrivare. Per la Chiesa, il futuro non è una battaglia tra naturale e artificiale, ma tra il desiderio di dominio e il desiderio di comunione.

Forse per questo, tra tutti i documenti prodotti negli ultimi cinque anni, quello che più ha colpito gli osservatori esterni è stato il piccolo Manifesto sull’algoritmo e la gratuità, firmato da giovani studiosi cristiani nel 2025. In un’epoca che premia l’efficienza e il calcolo, quel testo ha ricordato che la gratuità – fare qualcosa senza un ritorno immediato – resta il gesto più umano e, forse, il più inaccessibile a ogni macchina.

Il cammino non è concluso. Anzi, la sfida più grande inizia ora: l’avvento dei modelli di AI generativa capaci di scrivere, parlare, decidere in autonomia sta ponendo interrogativi ancora più radicali sulla coscienza, sulla creatività, sulla libertà. Ma proprio per questo, paradossalmente, il tentativo della Chiesa di incidere in questo dibattito sembra oggi meno ingenuo di quanto apparisse cinque anni fa.

Non si tratta di frenare il progresso. Ma di ricordare, con la forza discreta di chi conosce la lunga storia dell’umano, che il progresso non basta. Se non si lascia spazio alla trascendenza, l’AI finirà per credere di essere il nostro Dio. E sarebbe un dio molto piccolo.