 
                FOTO Google Creative Commons
il figlio
Tra la cicala e la formica e le fiabe che ci insegnano a vivere
Le fiabe non sono fatte per essere messe in discussione, le favole sono sentenze su buoni e i cattivi, non devono far vacillare i bambini nella scelta tra il bene e il male. Quella della cicala e della formica apre anche una questione educativa: prima il dovere e poi il piacere, prima il sacrificio e poi il riposo
Tra la cicala e la formica ho sempre preferito la cicala, e ascoltato (erano i tempi delle favole nel mangiadischi) con fastidio e un vago senso d’ingiustizia le prediche della formica. Quanta ferocia! Se aveva raccolto tutte quelle provviste, perché non ne dava un po’ alla cicala? Voleva forse esplodere di cibo durante l’inverno? Che cos’aveva contro il canto della cicala, insomma la cicala era un’artista! Ma ero una bambina e non potevo dirlo, perché la favola della cicala e della formica è tutta fondata sulla morale, e la morale è che ha ragione la formica.
Una bambina non mette in discussione la morale delle favole, le favole sono sentenze su buoni e i cattivi, le favole non devono far vacillare i bambini nella scelta tra il bene e il male (a me faceva vacillare anche l’orco che per errore uccide le sue figlie perché Pollicino ha scambiato i copricapi nei lettini: Pollicino e i suoi fratelli si salvano, l’Orco è pazzo di dolore, ma quelle bambine sgozzate? Che colpa avevano? Dovevo essere contenta per Pollicino e i suoi fratelli, ma non ci riuscivo del tutto, Pollicino lo fa per salvarsi ma avrebbe potuto inventarsi qualcosa di meglio, di meno sanguinario, visto che era così furbo). La cicala e la formica mi hanno perseguitato a lungo, perché la morale delle favole è persecutoria, quindi cercavo i motivi per dar ragione alla formica: fa tanta fatica, non si ferma mai per tutta l’estate, mentre la cicala canta e non pensa al domani.
Ma mi rendevo perfettamente conto che la formica era un’esaltata, e respingevo non con la logica, che ancora non maneggiavo, ma con l’istinto, la logica del martirio e del sacrificio esibito in modo così plateale. Fermati, formica, fatti un panino insieme alla cicala, siediti al concerto, prendi quella briciola e ingoiala, bevi una goccia d’acqua, che cosa cambia? Hai già tutto quello che ti serve. Nonostante la regola aurea della ripetizione, riascoltare sempre la stessa storia, motivo per cui ho consumato i dischi di favole nel mangiadischi verde acido, speravo ogni volta in un colpo di scena, speravo nell’amicizia fra la cicala e la formica, speravo che la formica dicesse: ehi, nevica, vieni a scaldarti qui e cantami qualcosa. Non è mai successo, e adesso posso dire che è stata una delle più grandi delusioni della mia infanzia.
La favola che mi ha fatto, poi, mettere in discussione tutto l’armamentario delle fiabe. L’ambiguità non era ammessa, io invece la volevo già. Ma quella della cicala e della formica era anche una questione educativa: prima il dovere e poi il piacere, prima il sacrificio e poi il riposo, prima le cose che non vorresti fare e poi le cose che ti piacciono, prima i compiti e poi giocare, prima il pane di ieri e poi quello fresco, prima finisci il formaggio vecchio e poi inizi quello nuovo. Non è morale, è logica!, dicevano tutti, quindi io mi sono sempre sentita non solo immorale, ma anche illogica. Poi è arrivato il più importante matematico del Novecento, Giuseppe Peano, padre del calcolo vettoriale e di tante equazioni che non ho mai capito, e ha ribaltato per sempre il mio senso di colpa.
E’ bello che sia arrivato non in un libro di matematica ma in un romanzo, quindi in fondo in una favola: è infatti lo zio Giuseppe, zio di Lalla Romano, che parla di lui in Una giovinezza inventata: “Da bambina, come tutti, badavo a scegliere da un piatto di castagne la meno bella e cosí via, in modo da lasciare per ultime le migliori, anzi la migliore. Non senza motivo del resto: l’impressione ultima sarebbe stato il sapore della piú buona mangiata alla fine. Zio Giuseppe mi aveva insegnato a fare il contrario: - Scegli invece la migliore, poi ancora la migliore: fino alla fine avrai sempre mangiato la piú buona -. Significava: altrimenti avrai sempre mangiato la peggiore. Era un trionfo della logica”. In questo trionfo della logica vince anche la cicala, che per tutta la vita ha sempre fatto la cosa migliore, e poi ancora la migliore, e poi di nuovo la migliore: cantare.
 
                 
                             
                                