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Il Figlio
Una donna dentro il tempo che si spezza e che cambia. Un film sull'io che resta
Con Familiar Touch la regista americana Sarah Friedland offre un racconto intimo e perturbante che non racconta l'Alzheimer, ma una donna nella sua esperienza del tempo che si spezza e cambia. "Volevo raccontare una protagonista la cui famiglia non è più visibile ma permane nei gesti" dice Friedland
C’è una grammatica del corpo che sopravvive alla mente, un lessico dei gesti, dei sensi e delle pulsioni, che resiste anche quando la memoria vacilla. Con Familiar Touch, la regista americana Sarah Friedland ci offre un esempio in tal senso realizzando un film intimo e perturbante che non racconta l’Alzheimer, ma una donna, Ruth Goldman (una straordinaria Kathleen Chalfant), nella sua esperienza del tempo che si spezza e che cambia, nella percezione che si ridefinisce. Ha ottant’anni, è elegante, è composta ed è sola. Una mattina, dopo aver scelto e sistemato con cura i suoi abiti nell’armadio, esce per quello che crede un appuntamento in hotel, ma si ritrova in una casa di cura. Da lì inizia un percorso che non ha nulla della narrazione lineare o della discesa nella malattia, ma un lento disgregarsi della memoria, una sorta di riformulazione del sé e, soprattutto, una riconfigurazione delle relazioni.
L’io resta anche quando il nome delle cose e delle persone si perde nei meandri dell’oblio. La famiglia c’è anche quando non sembra ed è un’assenza che vibra nei gesti, nei movimenti e rituali quotidiani. Non ci sono figli che visitano, né fotografie incorniciate. Non ci sono rimpianti, telefonate, pianti o ricongiungimenti tardivi. Eppure, la famiglia c’è. In Familiar Touch – Premio Leone del Futuro, Miglior Regia Orizzonti e Attrice a Venezia 81, da ieri nelle sale italiane per Fandango - la famiglia è un’assenza che vibra nei gesti, nei movimenti e nei rituali quotidiani, nella luce naturale che attraversa le stanze, nei panni stesi, nei letti rifatti ogni giorno, nella piscina che accoglie i corpi stanchi. Friedland, ex coreografa, cerca un’estetica dell’umano quotidiano, senza mai cedere al sentimentalismo e il suo sguardo rispettoso e mai invasivo esprime la fiducia che la singolarità possa farsi universale, che il microcosmo di Ruth contenga l’eco di tutti noi.
"Volevo raccontare una protagonista la cui famiglia non è più visibile, ma permane nei gesti, nella postura, nella sensibilità tattile", spiega al Foglio quando la incontriamo a Roma. "Nel modo in cui Ruth si tocca i capelli o piega un asciugamano, c’è traccia di chi ha amato, di chi l’ha amata. La memoria, a volte, resta nel corpo più che nella mente", aggiunge. La sua è, dunque, una dichiarazione di poetica radicale. Invece di rappresentare l’assenza con la malinconia, la traduce in prossimità corporea ed è così che Ruth condivide il tempo con operatori, caregivers, altre residenti e sconosciuti (quasi tutti attori non professionisti) che diventano familiari per contiguità, abitudine e reciprocità silenziosa. La famiglia, in questo film si costruisce attraverso l’assistenza e l’interdipendenza, da intendersi come un’esplorazione sensoriale della continuità dell’identità oltre la decadenza cognitiva. La regista non ci fa entrare nella casa di cura come in un luogo di segregazione, ma come uno spazio abitabile, a suo modo vitale, stratificato di gesti, luci e voci.
"Ho voluto ridurre la storia al minimo per far emergere l’essenza del personaggio, non ci sono colpi di scena né climax emotivi", spiega. "Ho passato anni ad assistere persone anziane ed è lì che ho imparato che c’è una parte dell’identità che non si cancella con la memoria. Il contatto fisico, emotivo o sensoriale è una forma di linguaggio che precede e sopravvive alla parola. Volevo che questo film parlasse quel linguaggio". Kathleen Chalfant è perfetta nei panni della protagonista: una donna che non combatte, non vince e non perde, ma – semplicemente, se così si può dire - vive. Anche quando dimentica i nomi, riconosce i volti e anche quando tutto sembra sfaldarsi, resta un contatto familiare, un gesto antico, un odore che evoca, un tocco che conforta nonostante tutto.