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Il Figlio

Alexa nello stato di famiglia? Evviva la Ritmo bianca che salda i rapporti

Francesco Muzzopappa

Adoro quelle famiglie che si capiscono al volo, che riescono a comunicare per alzata di sopracciglio, Le famiglie custodi di un valore che il mondo digitale non può replicare: quello della costruzione del senso

Tempo fa girava sui manifesti la pubblicità di una famosa compagnia di telecomunicazioni. Intorno a un divano una famiglia distopica in cui ogni componente se ne stava felicemente ipnotizzato davanti a un elemento elettronico diverso: il videogioco per il bimbo, lo smartphone per la ragazzina, il laptop per il papà e il tablet per la mamma. Tutti sorridenti, tutti felici. Il più sano era il cane, posizionato a bordo scena, impegnato a fissare con gioia il logo dell’azienda dal wifi potentissimo.
Non è purtroppo una novità: da una recente ricerca emerge che il trentasei per cento degli italiani trascorre più tempo su internet anziché con la gente in carne e ossa, un dato figlio dei nostri tempi.

 

Siccome io invece sono figlio dei miei genitori, per giunta meridionali, due ottantenni ancora poco connessi alla rete, ho avuto il privilegio di crescere in una sana famiglia analogica. Ricordo lunghi, interminabili viaggi a bordo della nostra Ritmo bianca cinque porte, quei viaggi in cui mia madre si ingegnava per tenermi sempre acceso, incantandomi con le belle filastrocche di Rodari o proponendo giochi di gruppo dall’ingresso nell’A14 a Taranto all’uscita di Sommacampagna, in Veneto.
Sono convinto che in quella Ritmo si sia fatta la nostra famiglia, si sia unita. Anche perché in una Ritmo, senza condizionatore, in pieno agosto, con l’autoradio sintonizzata su Isoradio, lo spirito di gruppo inevitabilmente si rafforza. Per forza di cose, non facevamo parte di quel trentasei per cento.

 

In un mondo sempre più pervaso dalla digitalizzazione, quel sessantaquattro per cento di italiani che ancora affonda le radici nella realtà concreta delle relazioni è una buona notizia, famiglie costruite sulle esperienze condivise, sulla fatica di strutturare i legami non sostituibili da un semplice scambio di dati. Il rischio è che i giga gratis sostituiscano i rapporti? L’anno scorso con la mia compagna abbiamo raggiunto un locale del lago Maggiore tappezzato di Fride in technicolor. Al tavolo accanto a noi, una coppia di genitori apapssionati di pasta con le vongole da postare sui social in ogni sua fase (attesa, arrivo del piatto, piatto a metà, piatto vuoto, valve a parte) aveva evidentemente deciso di affidare l’intrattenimento della propria bimba a Youtube, impostato su una versione Zecchino d’orodel tormentone Asereje de Las Ketchup, brano che apprezzo davvero tanto ma non per un’ora di seguito. A un volume  che rendeva impossibile ogni conversazione ma non il pensiero. Non occorreva essere iscritti alla scuola di Francoforte per arrivare alla conclusione che si trattava non solo di un pessimo momento famigliare, ma di una punizione sia per le sinapsi della bimba che per quelle della clientela del ristorante.


Ecco perché adoro chi riesce ancora a stare nel mezzo, quelle famiglie che lavorano continuamente per irrobustire l’ossatura dei rapporti, che attraversano la vita con un passo più lento, si accomodano nella complessità, non hanno fretta di consumare tv, notizie e canzoni. Adoro quelle famiglie che si capiscono al volo, che riescono a comunicare per alzata di sopracciglio, quel linguaggio non verbale che somiglia a un codice da controspionaggio degno di Judy Dench nei Bond d’annata. Le famiglie custodi di un valore che il mondo digitale non può replicare: quello della costruzione del senso.
Insomma, adoro le famiglie analogiche, in cui il wifi ha la sua importanza ma non è il centro della giornata. A meno che Alexa non rientri nello stato di famiglia. 

  


   

E’ appena uscito in libreria il suo nuovo romanzo, “La contessa va in crociera” (Solferino), in occasione del quale Francesco Muzzopappa ha scritto questo racconto per il Figlio.

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