Foto Epa, via Ansa

Riordinare i ricordi di una vita facendo il conto dei fidanzati e dei libri

Sandra Petrignani

Che la scrittrice madrilena parli direttamente di sé come in "La pazza di casa", o racconti la vita di Marie Curie, o rifletta sul temperamento artistico o si nasconda nei personaggi di uno dei tanti romanzi che ha scritto, si ha sempre la sensazione di conoscerla di persona, di essersi seduto al caffè con lei per fare quattro chiacchiere

Nello scritto che accompagna la riedizione del libro forse più famoso di Rosa Montero, "La pazza di casa" (Ponte alle Grazie, traduzione di Michela Finassi Parolo), Mario Vargas Llosa diceva: “Con la scrittrice Rosa Montero mi succede una cosa strana. Ho la sensazione di essere suo amico da tempo immemorabile” e invece si vedevano “ogni morte di papa” e sempre in quelle occasioni pubbliche in cui “non si riesce mai a imbastire una conversazione completa”.

 

E’ esattamente la sensazione che ha anche qualsiasi altro lettore della scrittrice madrilena. Che parli direttamente di sé come in questo libro, o racconti la vita di Marie Curie come in "La ridicola idea di non vederti più," o rifletta sul temperamento artistico ("Il pericolo di essere sana di mente") o si nasconda nei personaggi di uno dei tanti romanzi che ha scritto, hai sempre la sensazione di conoscerla di persona, di esserti seduto al caffè con lei per fare quattro chiacchiere.

 

Forse è il suo pregio e il suo limite questo darti una manata sulla spalla per invitarti ad ascoltarla, questo suo accorciare le distanze fra chi scrive e chi legge, questo dover richiamare continuamente l’attenzione, quasi sottolineando un bisogno indiscutibile di essere ascoltata, e amata. Ma funziona. I suoi libri si bevono fino all’ultimo sorso presi dalla sua malia, si sospende persino il giudizio tanta è la curiosità di sapere dove ci sta portando. Così accade anche con questa specie di autobiografia che è La pazza di casa perché non sai mai, com’è giusto che sia in letteratura, se dice la verità o inventa. Sempre divertendo e sorprendendo. Ecco l’incipit: “Ho preso l’abitudine di riordinare i ricordi della mia vita facendo il conto dei fidanzati e dei libri”. E per raccontare l’infanzia – da lì inevitabilmente comincia un’autobiografia – eccola affermare che “la vita infantile è in gran parte immaginaria” oppure, citando il Martin Amis di Esperienza: “Lo scrittore è una creatura che non arriva mai all’età adulta” e che vive in quella “mancanza di misura e di caos abbacinante” che è la fantasia, definita non a caso da Teresa d’Avila la pazza di casa. Appunto.

 

E’ la pazza di casa a trascinare l’autrice in amori assurdi, più immaginari che reali. Anzi si direbbe che la passione si accende in lei quando l’amato è irraggiungibile, misterioso, quando si sottrae e si può meglio fantasticare su di lui. Come nel racconto (autobiografico?) dell’incontro con un uomo che da reale e poco interessante diventa totalmente sfuggente e quindi agognatissimo, in cui l’autrice mette in campo tutta la follia che la passione amorosa può produrre, fino al ridicolo. 

 

E’ un’altra caratteristica della penna di Montero non temere l’esagerazione e sfidare la credibilità del lettore. Per esempio: esiste o no una certa Martina che ci viene presentata come sorella gemella, ma vertiginosamente diversa dell’autrice? Che sia solo una forma letteraria per raccontare l’intima schizofrenia di qualsivoglia scrittore? Schizofrenia e fragilità vista la natura plurima delle personalità artistiche. Non solo di Pessoa si tratta. Ma anche di Melville, di Italo Calvino, di Robert Walser, di Capote… Perché il vero scrittore, sostiene Montero, pesca nell’inconscio collettivo, oltre che nel suo personale inconscio, e lo rivela per rendere decifrabile il mistero dell’esistenza.

 

Se Wittgenstein diceva: “Ciò di cui non si può parlare si deve tacere”, tutti gli scrittori degni di questo nome parlano proprio di ciò che altri tacciono, mostrando un inevitabile esibizionismo di sé e dei propri fantasmi, che li rende esseri fragilissimi. Esseri infantili in perenne fuga dall’infanzia, ma per ricaderci dentro ogni volta, e che non sanno mai se quello che stanno facendo ha un senso.

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