Foto Melanie Brown via Unsplash 

il figlio

La doppia attesa

 Lorenza Gentile

   Nascerà mio figlio, e mentre mi dimentico la paura, amo l’imperfezione

Il giorno in cui ho scoperto di essere incinta mi si è aperto un sorriso, dentro, dal quale ho pensato di essere risucchiata, era la felicità, e poi ho sentito un vuoto, dentro, nel quale mi è sembrato di precipitare, la paura. 

 


Era il 28 settembre 2020. Lo so perché era il nostro anniversario di matrimonio. Lo so perché mentre provavo tutto questo ho contato con le dita, come se il cervello da solo non potesse assistermi, quando sarebbero scaduti esattamente i nove mesi e la risposta è stata semplice, in realtà complicata: giugno. Avevo a lungo desiderato un figlio, e ora andavo incontro a una gravidanza “gemellare”. Lo sapevo senza bisogno di ecografia, lo sapevo perché il gemello del minuscolo embrione che portavo in grembo era un embrione di carta. Era il mio nuovo romanzo, per cui era già prevista l’uscita proprio nello stesso mese. Una storia in cui ho messo anima e corpo. Pensavo di non avere spazio per altro, dentro. Adesso avrei dovuto fare spazio per due. Nove mesi, poi un doppio salto nel vuoto. 


Prepararsi. Una delle parole d’ordine della mia vita. Cercare di organizzarmi, di farmi trovare pronta. Cercare il modo di sentirmi un po’ meno inadeguata, di essere all’altezza. Il sol pensiero mi gettava nel panico. 

 


La gestazione accade nell’ombra, in solitudine, senza che tu possa fare niente. Se non attendere, se non sperare che vada tutto bene. In uno dei suoi romanzi, Marilynne Robinson scrive che nel buio si prepara il miracolo. E’ un concetto che mi sono ripetuta spesso, negli ultimi otto mesi, per farmi coraggio. Conosco l’attesa, la vita me la impone, i tempi editoriali lo esigono. Ma questa doppia attesa, così importante e così lunga, mi ha messo di fronte a me stessa in un modo nuovo. Non poter avere il controllo mi ha fatto sentire sperduta, e allo stesso tempo mi ha riempito di stupore e meraviglia. 


Ormai manca poco. Amo i piedini del piccolo che mi sagomano il fianco mentre cerco di concentrarmi sulla promozione del libro e se li sento, tutto si aggiusta. Eppure a volte il lavoro prende il sopravvento e mi dimentico di lui. In quei momenti mi sembra di essere tornata ragazzina. Leggera. Mi sono scordata di mio figlio. Di lui, che non ha gli strumenti per lamentarsi. Sospetto che se ne sia accorto, si sia sentito trascurato. Crescerà con una madre che è in grado di dimenticarsi di lui?

 


A volte, per via del figlio, mi dimentico del romanzo. E’ un sollievo a suo modo. Per qualche ora non sono una scrittrice, ma una quasi madre che fa lavatrici con le tutine da portare in ospedale, il velo della culla, lo zainetto da passeggio. Questa dimensione ha qualcosa di rassicurante. Non esistono più riviste, editing, casa editrice, esiste solo il mio futuro con lui. 


Spostare l’attenzione da una all’altra cosa aumenta la gioia, diminuisce la paura. Perché sì, ho paura, non so cosa mi aspetta e so che devo rinunciare a prevederlo.

 

Un romanzo non è un oggetto inanimato, ma un mondo con personaggi che vivono dentro le pagine. Sei tu scrittore a governare quel mondo, certo, ma devi anche assecondare il flusso naturale della storia, se vuoi creare qualcosa di autentico. E’ così che finisce per avere le sue leggi, che non puoi forzare. E una volta pubblicato trova la sua strada, lontano da te. Non puoi più proteggerlo. Non so come sarà mio figlio. Sarò in grado di crescerlo? Cosa mi insegnerà? A quali difficoltà andrà incontro che non potrò prevedere, nelle quali forse non lo potrò aiutare? Quali sofferenze gli potrò risparmiare? Riuscirò a insegnargli la libertà?  
Libertà, la parola chiave di questo periodo della mia vita. Entrambe le creature, di carne e di carta, mi insegnano ad avere fiducia nel miracolo che si compie nel buio e mi parlano di libertà. La libertà di stare a vedere, lasciar andare. Di prendere la vita così com’è. Meravigliosa, proprio perché imperfetta.
 

Di Lorenza Gentile, è appena uscito in libreria “Le piccole libertà” (Feltrinelli)

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