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I vice genitori

Simonetta Sciandivasci

Il padre ideale non esiste, per fortuna esistono gli amici di sopravvivenza e aggiustamento

Calcutta dice che il mondo è un tavolo e noi siamo le briciole. Mi siedo a quel tavolo, aspiro le briciole con l’aspiratutto, mangio un panino senza sbriciolare, campionessa mondiale del “io non lascio traccia”, e pianifico. Tutto. Sono della Vergine – l’ascendente non lo so, temo sia Vergine. Da un po’ di tempo, forse da quando ho cominciato a leggere meno le carte e più l’oroscopo, e quindi a credere più alle combinazioni che al destino, quando mangio quel panino a quel tavolo mi chiedo: che vice genitori sarebbero i miei amici per i miei figli? Naturalmente non ho figli, ma amici sì. Pianifico, ve l’ho detto. Incredibilmente, non mi sono mai domandata, tutte le volte che ho incontrato un uomo, o ci ho avuto a che fare, o me ne sono innamorata perché non sbriciolava neanche lui e quindi io contavo di poterlo amare, per un minuto, per un’ora, per una vacanza romana, per tutta la vita, che padre sarebbe stato per i figli che non ho ma un po’ già esistono (ho già deciso quanti saranno e come si chiameranno, il resto lo contratteremo su quel tavolo).

 

La persona più intelligente che ho incontrato finora una volta mi ha detto, parlandomi di suo padre, e di quanto ci aveva combattuto, quanto lo aveva odiato, e poi accettato e riabbracciato: l’amore s’impara.

 

E io mi sono ricordata che, quando mio padre è stato male, molto male, e per settimane ha avuto la pelle gialla e una temperatura da fornace e niente del suo corpo che funzionasse senza l’aiuto di un farmaco, il suo migliore amico, che è il mio vice padre, mi aveva detto la stessa cosa: l’amore si impara. E lo aveva fatto perché io piangevo e gli dicevo, cazzo, Franco, papà non può morire adesso, abbiamo smesso da troppo poco di sbagliare, io e lui, io per lui, lui per me, e io ho ancora bisogno di lui, per sbagliare per lui, e lui per sbagliare per me, e lui mi aveva fatto capire che questo succede, tra una figlia e un padre, e tra una figlia e una madre: ci si ama per tentativi, correzioni, errori, mancanze, omissioni, disastri, manicomi privati, urti, tempeste. Si va a lezione, gli esami non si passano, non ci si laurea mai. E non conta quanto possa sembrarmi un padre ideale il meraviglioso individuo che non lascia briciole quando mangia un panino: a un certo punto sbaglierà anche lui, Elsa (la primogenita dei miei sogni) gli urlerà che lo odia, e a trent’anni prenderà l’ansiolitico per non pensare a quanto lo ha deluso. A quel punto, Elsa avrà bisogno di un vice padre che conosca suo padre profondamente, e quindi abbia la credibilità per dirle che lui la ama, ma sta imparando, forse non imparerà mai, sai quante volte mi ha detto che è preoccupato per te, che è orgoglioso di te, che non gli piaci quando sei sboccata, ma adesso vuoi una birra?

 

Più che un possibile buon padre per Elsa e sua sorella, tento di valutare una possibile vice madre e un possibile vice padre per lei. Ho iniziato le selezioni. Escludo quelli che quando siamo a cena hanno in faccia il vapore della loro carbonara che sta freddandosi drammaticamente, inesorabilmente, mentre tentano di far addormentare la figlia, e allora io mi sento in dovere di sbrigarmi a finire il mio piatto e prendere la bambina e lasciare che mangino in pace. Escludo quelli che dicono “Vai da zia Simonetta!”. Escludo quelli che m’assomigliano. Valuto quelli che sono capaci di ammettere che il mondo è un tavolo e noi siamo le briciole. Io ho una vice madre fantastica, ed è la moglie del mio vice padre, e qualche settimana fa l’ho chiamata per dirle che il mio ansiolitico mi piace molto, mi fa star bene, secondo me andrebbe distribuito in molti cocktail a molte feste, e lei mi ha detto: “Ricordati di non fumare, quando lo prendi”. Le ho risposto che fumo poche sigarette al giorno, a volte zero, e lei mi ha detto “Intendevo FUMARE”. Ho molto riso. All’elogio del mio ansiolitico, mia madre ha reagito fissandomi un appuntamento da una psichiatra che ho scavallato grazie all’intervento della mia vice madre, che negli ultimi trentaquattro anni è stata il nostro arbitro, la nostra constatazione amichevole, la nostra luce d’emergenza, il nostro avvocato, la nostra prima cosa bella e, adesso che siamo tutte un po’ più anziane e stanche e innervosite, è anche il nostro sorriso giovane.

 

La prossima settimana andremo a trovarla. Andremo in vacanza a casa sua. Per litigare. Soccorrerci. Farci dire da lei chi siamo. Farci dire che non è grave, e che la tempesta è normale, inevitabile, persino bella. A dirci quello che non possiamo dirci al telefono: non ti sopporto più, guarda come ti sei ridotta, sei uno straccio, non sai reagire, non mi sai aiutare, e mi butti tutto addosso, e te ne freghi di come sto io, guarda che io prendo le gocce, ah sì, e io prendo il regolatore dell’umore, mi hai stufata, sono trent’anni che mi stufi. E quando avremo finito, e sarà stato terribile, e ci guarderemo come se non fossimo più madre e figlia, comparirà lei, e ci chiederà cosa vogliamo mangiare, e rimetterà in sesto la famiglia che noi proviamo a scassare da tre decenni, perché è così che s’impara ad amare, bombardandosi, e si sopravvive se si ha la fortuna di avere un bunker per vice madre, e una Bibbia per vice padre. Gli amici che fanno da vice genitori ai figli dei loro amici sono così: spiegano senza mettere bocca. Ne voglio dieci.

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