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Contro Edipo

Laura Locatelli

Le madri di maschi adolescenti, alle prese con quel mondo misterioso uscito dalla pancia

Tre figli, due maschi e una femmina. La domanda: “Perché faccio così fatica con il maschio?”. A farla sono io, anni fa, quando il più piccolo dei tre era ancora un bambino e i due più grandi stavano affacciandosi alla pubertà. A riceverla un’amica pediatra. “Non lo so ma possiamo studiarci su”, ha risposto lei. E così abbiamo fatto: abbiamo intervistato madri, sorelle, mogli, suocere. Poi padri, figli, fratelli, mariti. Il risultato del nostro cercare lo abbiamo raccolto in un libriccino dal titolo “Adolescenza e Autonomia: che fatica!”.

Tutti noi genitori sperimentiamo, durante l’adolescenza, il momento in cui quegli adorabili bambolotti che fino a ieri erano i nostri figli si trasformano in estranei, maschi o femmine che siano. Ma tutte noi madri di maschi capiamo presto che l’estraneo maschio è ben più difficile da gestire. Perché? Perché, risponde Freud, sin dalla sua nascita ci prende nella pancia, come Edipo. Questa attrazione sessuale sublimata all’interno della coppia madre-figlio maschio viene poi cementata in un cordone ombelicale fortissimo dalla funzione materna di accudimento. Funzione necessaria, naturale e indispensabile, nelle prime fasi di vita del bambino. 


 

Quando il figlio diventa adolescente, quel cordone ombelicale è ancora lì e tagliarlo diventa più difficile. Perché continuiamo a sentire nostro figlio nella pancia, nonostante i suoi strattoni per uscirne e incominciare il percorso di creazione di una sua identità autonoma.
 Per diventare uomo, quindi per staccarsi dalla madre, il maschio deve impegnarsi molto più in profondità rispetto a una figlia femmina che sta per diventare donna: una donna diversa dalla madre, ma pur sempre una donna. 
Aiutiamolo allora, invece di tenerlo stretto.
 Se il padre c’è, facciamo un passo indietro e lasciamogli spazio, perché in quanto maschio può e deve passargli il testimone. 


 

“Mamma, con te non c’è gusto, io mi diverto di più a litigare con il papà”.  
Questa frase è stata per me rivelatrice. Me l’ha detta mio figlio durante un viaggio in macchina senza il padre, che di solito ci obbligava a sentire la musica che decideva lui. Battisti, De André, un incubo per un quindicenne che avrebbe voluto ubriacarsi di Eminem. Una volta seduti in auto, mi ha chiesto di poter mettere su il suo cd. E io ho risposto subito “Sì”, contenta che potesse scegliere liberamente. “E dai mamma, con te non c’è gusto”. La sua risposta mi ha fatto capire che forse, quando gli adolescenti chiedono, non sempre vogliono essere accontentati. Hanno bisogno di essere ascoltati e guidati, soprattutto nelle situazioni che trovano difficili da gestire e che richiedono una delimitazione chiara del territorio. Puoi arrivare fin qui, là no.


 

“Essendo mio marito e io figli del ’68, abbiamo concesso a nostro figlio troppa libertà. Oggi, a 35 anni, ci ha rinfacciato che di tutta quella libertà non sapeva cosa farsene, al punto di esserne rimasto destabilizzato. Ci ha detto che non voleva due amici, ma due genitori”, ha risposto una delle madri che ho intervistato.

 

Un adolescente maschio, per staccarsi e diventare adulto, ha bisogno di fermezza, autorità e autorevolezza. Spesso, anche di una modalità di conflitto che gli dia modo di confrontare con l’interlocutore la sua rabbia e la sua aggressività. Il testosterone a quell’età lo esige. 
Ecco perché è più faticoso per una donna rapportarsi con un figlio maschio. Ecco perché una volta esistevano i riti di iniziazione, che segnavano il passaggio di un bambino dall’infanzia (il mondo delle donne) all’adultità (il mondo degli uomini). Ecco perché il modello femminile per un ragazzino è un modello alieno, che, nel momento della trasformazione verso l’età adulta, non gli serve per crescere.
 “L’ho picchiato, quello che mi aveva detto era per me inaccettabile”. Così ha raccontato un compagno di classe di mia figlia, brillante studente di liceo classico oggi prestato al Diritto internazionale, a proposito di un suo amichetto dell’asilo che gli aveva rivelato un orrendo segreto: anche le femmine fanno la cacca. Cosa, questa, che continua a destabilizzare anche i miei figli maschi, di ventisei e diciotto anni. La donna, e mi sembrano proprio convinti, è meglio che sia “angelicata”. Non deve parlare di bisogni corporali e men che meno deve esprimerli con quei rumori tanto divertenti per una compagnia maschile.
 Maschi e femmine sono dunque diversi e non solo anatomicamente. Avranno tempo, all’interno della coppia, di conoscersi e di regolarsi nella convivenza. Ed è su questo fronte che noi madri di figli maschi ci troviamo a portare sulle spalle la fatica più grande: dobbiamo crescere degli uomini che siano dei partner socialmente adeguati. Tutte noi abbiamo avuto una suocera, e potremmo presto avere una nuora.

 

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