MiArt, tra l'arte e gli studi di super avvocati c'è l'amore. Ecco dove

Si apre a Milano la Art Week e fra le scrivanie degli studi professionali più noti vengono accomodati, talvolta con soluzioni davvero molto creative, dipinti e installazioni

Fabiana Giacomotti

A Milano si apre MiArt, la Art Week com’è ormai stata ribattezzata all’estero per quegli automatismi che in realtà facilitano inquadramento e comprensione del network pubblico-privato in cui la città è organizzata, e fra le scrivanie degli studi professionali più noti vengono accomodati, talvolta con soluzioni davvero molto creative, dipinti e installazioni. Il site specific fra bozze di accordi commerciali e diatribe su temi ambientali è qualcosa che non ci aspettavamo, ma c’è riuscito l’altra sera lo Studio Carnelutti con una personale del tedesco Armin Boehm: sedici opere, di cui solo alcune antologiche e un paio monumentali, compresa una piccola selezione realizzata per il luogo, il tono e l’occasione, sono state esposte fra i due piani del palazzetto neoclassico di via Principe Amedeo e visitate da gallerie internazionali come Georg Jensen e Rodeo Gallery e facce notissime dell’arte mondiale fra cui l’albanese Adrian Paci.

  

Grandi ironie fra i partner della storica istituzione legale milanese per un volto di gomma che, sorride l’avvocato Francesco Francica, ricorda davvero quello di un collega e, in senso lato, la professione, peraltro molto praticata anche nella famiglia di Boehm. Nessuno ha mai esplorato i rapporti fra avvocatura e arte al di là dell’ovvio interesse della prima per la nobilitazione che porta la seconda, ma se si considera che Gustave Caillebotte sognava di diventare avvocato e che papà Louis Auguste Cézanne, il vecchio banchiere in papalina che spulcia le notizie di borsa sul giornale nel ritratto esposto alla National Gallery di Washington, fu il primo a sostenere la pittura del figlio Paul benché avesse sperato per lui una bella carriera di legale, potrebbe essere davvero interessante esplorare quali legami psicologici intercorrano fra chi si occupa di raccontare la vita e chi di difenderla o di renderle (almeno in senso ideale) giustizia. E’ questo, non a caso, il passo che ha scelto di compiere Roberto Spada, grande collezionista e commercialista maximo con studio nei locali di corso Italia un tempo occupati dalla Crippa e Berger: dopo averli aperti per molte stagioni per il MiArt, esponendo collettive e personali, quest’anno ha deciso di affiancare la Fondazione Trussardi come sponsor della colossale installazione “A friend” dell’artista ghanese Ibrahim Mahama, curata da Massimiliano Gioni, che fino al 14 aprile coprirà di immensi teli di juta i caselli daziari di Porta Venezia in una riflessione simbolica del concetto di soglia, il luogo di passaggio che definisce l’interno e l’esterno, il sé e l’altro, l’amico e il nemico. Nessuna porta più di quella che in epoca romana si apriva sulle vie verso l’Oriente (Stendhal la definiva ancora “Porta orientale”) avrebbe potuto essere più adatta. 

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