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Elogio del numero chiuso alla Statale contro gli umanisti passatisti

Redazione

Eppure nell'università lo sbarramento esiste in novanta corsi su novantasette, Lingue lo ha appena approvato

Il freno a mano c’è chi non lo molla mai. Il sistema universitario italiano, che ogni anno zoppica in fascia bassa o in zona retrocessione nelle classifiche internazionali come il World University Rankings, ha un suo indubitabile punto di riscatto nel sistema degli atenei milanesi. Detto senza campanilismi. Sono soprattutto le facoltà tecniche e scientifiche (con un buon mix concorrenziale tra pubblico e privato) a tirare una locomotiva che né il Miur né le spesso inesistenti politiche nazionali hanno la forza di far ripartire: Politecnico, Bocconi, Medicina. Spiacerebbe perciò dover dire che la zavorra viene dagli umanisti, quasi a giustificare il pregiudizio secondo cui il loro complessivo “sapere” è soltanto un residuo “passatista”. Così non è. Ma tocca notare che il freno a mano a Milano lo tirano loro. E probabilmente c’entra qualcosa la minore sensibilità e volontà di adattamento a un mondo della ricerca che è cambiato, che chiede (anche) strutture investimenti e tecnologie. Merito e selezione. E non solo libri, biblioteche e fantasia. Il caso dell’Accademia di Brera fa a sé: lì docenti e studenti dal temperamento artistico rifiutano una nuova e funzionale sede: tanto a che servirà mai? Adesso è la volta delle facoltà umanistiche della Statale, che stanno provando a bloccare – accademici e studenti – l’introduzione del numero chiuso (o meglio lo sbarramento attraverso selezione iniziale) nei corsi di Storia, Letteratura e Filosofia. Tutti poeti laureati (tutti disoccupati?). Ma c’è una semplice verità. In Statale lo sbarramento esiste in novanta corsi su novantasette, Lingue lo ha appena approvato. Tra i motivi strutturali di introdurlo anche nelle facoltà umanistiche c’è il fatto che le nuove regole del Miur hanno modificato i criteri di proporzione tra docenti e studenti: niente più adunate in aule oceaniche per poi non trovare un docente precario, o un ricercatore, per seguire gli studenti nella didattica. Chi conosce le facoltà umanistiche della Statale, può testimoniare quale sia l’attuale disagio.

 

Per questo mettono sconforto le contestazioni dei centri sociali e di attempati (culturalmente) docenti contro l’idea sostenuta dal rettore Gianluca Vago. “Il numero chiuso è necessario anche lì – ha detto – anche per aumentare la qualità, visti i loro risultati: disarmanti, a partire da abbandoni e fuori corso”. Non è il caso di iniziare a pensare che anche la cultura umanistica debba entrare nel Terzo millennio?

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