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Pesa di più la Lombardia o il Quirinale? Breve apologo su un mistero non così misterioso

Fabio Massa

Dopo il Veneto, la premier guarda la bilancia sulla quale soppesa il valore della più grande regione d’Italia, la più ricca, la più popolosa. Ma un territorio non può essere moneta di scambio

In una bilancia dei tempi antichi, quella con i due piatti contrapposti maneggiati da abili venditori o dalla famosa Giustizia bendata, oggi la Lombardia starebbe su uno, e sull’altro ci sarebbe la presidenza della Repubblica. Chi peserà di più? A tenere l’asta con la sua mano però non c’è però una dea bendata, ma Giorgia Meloni: con gli occhi bene aperti e pure con tanta circospezione. Quanto vale la Lombardia? E quanto vale il Quirinale, colle futuro? E – soprattutto – dopo il Veneto c’è un modo per i fratellini di mettere le mani su entrambi i piatti, entrambi ma diversamente ricchi? La tesi l’abbiamo raccontata per primi qui sul Foglio: la Lombardia come possibile moneta di scambio in un gioco complicato che vede sicuramente la presidenza della Repubblica come valore assoluto. Difficile da conquistare però: a parte che bisogna aspettare le prossime elezioni, poi con tutta probabilità Antonio Tajani farà una propria partita personale, e dunque il centrodestra potrebbe non essere unito e i voti del Carroccio determinanti. Così la premier guarda la bilancia, sulla quale soppesa il valore della più grande regione d’Italia, la più ricca, la più popolosa.

Ed è proprio questo il problema. Un problema enorme. Perché un territorio non può essere moneta di scambio, e le ricostruzioni di stampa che lo raffigurano in questa maniera non fanno bene né a Fratelli d’Italia né alla maggioranza di centrodestra. Viceversa servirebbe un’idea per la Lombardia, un sogno. Qualcosa da costruire già oggi, in vista di una ripartenza nel 2028. Quelli noiosi dicono che “il programma viene prima del candidato”. Ma pure la noia viene sconfitta dal cinismo di quelli che pensano che la Lombardia possa invece essere scambiata per un riordino dei collegi (che vuol dire più seggi in Parlamento, e dunque più voti per l’elezione del presidente della Repubblica a inizio 2029). Mancano due anni e mezzo (altro che election day con le politiche nel 2027). E si vedrà.

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