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All'HangarBicocca con Cattelan. Niente banane ma un gran libro
Il suo nuovo libro, "Beware of Yourself", è un flusso di coscienza visivo e verbale che resiste alla forma libro come lui ha sempre resistito alla forma d’artista. Non è un catalogo, non è una monografia, non è un diario, ma un oggetto narrativo non identificato
C’è chi scrive libri per spiegarsi e chi per occultarsi meglio. Maurizio Cattelan, da par suo, firma un volume che ha la forma del catalogo d’artista, la densità dell’autobiografia metafisica e l’umore di una seduta spiritica condotta dal defunto spirito dell’avanguardia. Il libro si chiama Beware of Yourself e già il titolo – monito, specchio e trabocchetto – dice tutto: non fidarti nemmeno di te stesso, tanto meno dell’immagine che credi di restituire al mondo. Figuriamoci di lui che i cui lavori si basano sulle strutture, sui sistemi, sulle coreografie del potere e le liturgie della rappresentazione. Pubblicato da Marsilio Arte in collaborazione con Pirelli HangarBicocca, nasce da un lavoro di montaggio e smontaggio – degno di un Godard sotto acido – su oltre 300 interviste rilasciate (o fatte rilasciare) dall’artista nell’arco di 35 anni.
La voce è sua, certo, ma è disossata, spaiata, rimontata e ricombinata in quella che i curatori Roberta Tenconi, Vicente Todolí e Tatiana Palenzona definiscono “mappa mentale”, davvero un termine gentile per designare il caos. Il risultato è un flusso di coscienza visivo e verbale che resiste alla forma libro come Cattelan ha sempre resistito alla forma d’artista. Non è un catalogo, non è una monografia, non è un diario, ma un oggetto narrativo non identificato. Si legge a pezzi, a strappi o in diagonale come si sfoglia la vita altrui su Instagram o il proprio passato su un hard disk che sta per esplodere. E’ il tipo di libro che si può leggere per tutta una vita senza venirne a capo “o in cinque minuti in bagno”, ironizza l’autore quando lo incontriamo, forse pensando ad America, il water d’oro a 18 carati che realizzò per Trump e Melania al primo mandato e da loro rifiutato, quindi poi esposto al Guggenheim di New York e infine rubato (dicono) durante una mostra a Blenheim Palace, vicino Oxford. Un’autobiografia centrifuga, discontinua e costruita per omissioni più che per rivelazioni, presentata nella sede della mensa della Pirelli, a Milano. Menù del giorno: zuppa di ceci, pasta all’ortolana o con crema al salmone, arrosto di pollo, mozzarella e sovracoscia di pollo, frutta e dessert. Molto buona per essere una mensa, ma la cena organizzata per lui a casa dell’editore Luca De Michelis e Marta Coin con il sindaco Sala e pochi, selezionatissimi guests, ha avuto, ovviamente, la meglio.
Prima, durante e dopo – libro compreso – Cattelan ha finalmente parlato, ma solo per confermare che non ha nulla da dire. Le interviste sono il luogo della falsità”, scrive. “Bisogna ascoltare gli altri, non sé stessi.” Eppure eccolo qui, a occupare 400 pagine con testi, opere, cronologie, scritti autografi e apparati così dettagliati da sembrare quasi un’esibizione di trasparenza, ma è solo un’illusione ottica. Più il libro si apre, più l’autore si ritrae. Come un illusionista esperto, Cattelan organizza la propria scomparsa con rigore formale e alla fine, uscendo dalla cena, nel vicino parchetto dedicato a Oriana Fallaci, ci chiediamo chi sia veramente. La risposta più probabile è: chiunque tranne lui stesso. Persino la foto della comunione, quando ce la mostra, la definisce “tremenda”. In lui non c’è rifugio nell’infanzia, nella sincerità o nel dolore da talk show e la vulnerabilità, ammesso che esista, è anch’essa messa in scena.