
Gran Milano
“S” come San Siro. Scurati è offeso dalla bellezza del nuovo stadio
Il requiem dello scrittore per il Meazza, metafora della città “popolare e democratica”. Ma lo stadio non c’entra: è l’ossessione ideologica a spiegare l’avversione al nuovo
Era difficile trovare, tra i commenti di parte lesa od offesa per la decisione legittimamente presa dalla maggioranza del Consiglio comunale di abbattere lo stadio Meazza e di costruirne uno nuovo – forse non sarà più bello che pria, come dice Paolo Scaroni, ma difficilmente sarà più brutto del vecchio e rattoppato San Siro – era difficile trovare, si diceva, un grumo di idee così scentrate, così poco documentate e rapportate ai fatti come quelle offerte iei da Antonio Scurati sulla prima pagina nazionale di Repubblica. Sotto il titolo eccessivo e pompieristico “Requiem per un’idea”. Allo stesso tempo però, come accade con i grandi scrittori, il testo di Scurati ha la capacità di illuminare tutto un mondo di pensieri, di mugugni e sociologismi, di arretratezze culturali che sconfinano nel passatismo più deprimente e di spiegare meglio di tante analisi e dichiarazioni “sul pezzo” un piccolo grande mistero: perché la sola idea – ancora tutta da concretizzare, e si vedrà se tutto andrà per il suo verso – di sostituire uno stadio vecchio e disfunzionale con uno nuovo, rivitalizzando anche un intero quartiere un po’ scalcagnato faccia così ribrezzo, provochi così tanta e irrazionale avversione in molte persone. Tutte quante, o quasi, guarda un po’, di sinistra. Scurati svela un mistero che spiega molto meglio la politica della politica stessa.
Scrive dunque Scurati, distopico o semplicemente fuori centro rispetto a un luogo che deve servire per il football, che si sente soffocare. Nel suo incubo urbano Milano è come un città in cui “ogni 10 passi sbattete contro un muro invisibile”. Che Milano “è una delle peggiori città per consumo di suolo, in Italia e in Europa” e che per giunta la devastazione prosegue a ritmo serrato”. Da come lo dice, si capisce che la colpa deve essere di Beppe Sala e di Catella, che se ne vanno col favore delle tenebre (ah, la delibera approvata nottetempo!) a tirare su muretti e palazzotti. Che, invece, Milano sia densa e ipercostruita fin dai tempi di Bonvesin, dagli austriaci e dall’Ottocento, quando inglobò i Corpi Santi, e poi nel Novecento trasformò in una sola città i comuni attorno (area di San Siro compresa) è pensiero che non lo sfiora. Invece è esattamente la storia di Milano che cresce e che cambia. Lamenta Scurati, assemblando i pensieri di molti cuori, forse non di altrettanti cervelli: “Per questo motivo la cessione dello stadio di San Siro da parte del Comune a Inter e Milan suona come un requiem per Milano. Lo storico stadio sarà demolito (caterve di detriti)” – nessuno l’ha informato che esistono moderni ed efficienti sistemi di demolizione smaltimento dei detriti edilizi, non moriremo di silicosi – e tuto questo “per far posto al nuovo, corredato da torri per uffici, hotel, museo, aree ristoro e un enorme centro commerciale. La delibera funebre, non a caso, è passata a notte fonda – l’ora del lupo”.
Ma perché mai la sostituzione di uno stadio dovrebbe essere il requiem di un’idea stessa di città? Dov’è la connessione? La verità è che il Meazza non c’entra nulla, e nemmeno il calcio né il sentimento sportivo dei milanesi. E nemmeno i milanesi, intesi come tali. C’entra un’ossessione politica e ideologica, quasi metafisica: “Non è in questione, ovviamente, la sopravvivenza fisica – per così dire – della città. Milano vive e prospera. Sempre più ricca, più sfrenata, più garrula e disperata. Ciò che viene sepolto è un’idea di Milano inclusiva, progressista, popolare e democratica”. Cosa possano c’entrare gli aggettivi “inclusiva, progressista, popolare e democratica” con un luogo dove fare sport e spettacolo, davvero è incomprensibile. Davvero è un’assurdità. Ma è proprio questa assurdità, che Scurati ha la capacità (sincerità) di descrivere, il vero tarlo maligno di un modo di pensare non tanto al destino di San Siro, ma alla città, alla sua società. Scrive, infatti: “Stiamo parlando di un’altra cosa, più grande. Stiamo parlando dei destini generali. Ciò che qui è in questione è la salute pubblica, la giustizia sociale, la salvaguardia ambientale, sono in ballo valori e principi fondamentali per una comunità: l’interesse pubblico contro quello privato, il benessere di tutti contro la ricchezza di pochi, la generosità del futuro contro l’avidità del presente”. Stalin non avrebbe detto meglio, del resto pure lui era un gran visionario. E pare che il calcio, almeno, gli piacesse.