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Gran Milano
A teatro nessuno è straniero. Il progetto del Piccolo per milanesi che non parlano italiano
Il mondo teatrale apre anche a chi non ha come lingua madre l'italiano, implementando sovratitoli e contenuti bilingue. Così diventa sempre più accessibile e inclusivo
"A teatro nessuno è straniero”, titola il bel progetto del direttore artistico del Piccolo Teatro di Milano Claudio Longhi, nato meno di un anno fa dalla collaborazione fra la Comunità di sant’Egidio con l’Associazione Culturale Ateatro per rendere sempre più accessibile il mondo teatrale e allo stesso tempo favorire partecipazione culturale e cittadinanza attiva, già peraltro trasformato in libro per le edizioni Franco Angeli. Dunque, un’affermazione reale: il teatro è partecipazione e condivisione, i cori greci sono lì a ricordarci quanto e con quali scopi di elevazione anche spirituale. Fino a un certo punto, però, perché, in effetti, fino a oggi il teatro di prosa nazionale non era sovratitolato nelle principali lingue straniere. La traduzione veniva fatta solamente dall’inglese o il francese all’italiano, nel caso di spettacoli originali, ma mai “verso” una lingua straniera. Ma la lunghissima esperienza al Teatro alla Scala, oltre alla docenza di “cultura e cittadinanza” presso la stessa Comunità Sant’Egidio, devono aver suggerito molte cose a Lanfranco Li Cauli, direttore generale del Piccolo dallo scorso dicembre, che infatti lancia in questi giorni una versione, diciamo, lessicalmente arricchita del progetto “Piccolo Open”, nato pochi mesi fa con il sostegno di Fondazione di Comunità Milano con l’obiettivo di “promuovere un’accessibilità reale e una piena esperienza teatrale, attraverso servizi capaci di abbattere ogni tipo di barriera: non solo economica, ma anche culturale, architettonica, sensoriale, cognitiva e, infine, linguistica”.
L’iniziativa, già anticipata al presidente Mattarella, è la risposta di un’istituzione teatrale nata nel 1947 come “teatro d’arte per tutti” a una città come Milano dove oltre il venti per cento degli abitanti è di origine straniera. E in questo dato rientrano sia i banchieri statunitensi con attico in foro Bonaparte, sia gli studenti della Bocconi, in percentuale sempre più elevata stranieri, sia le donne dimenticate, spesso costrette a lasciare la scuola prima del termine dell’obbligo. Eppure Li Cauli conferma che all’Accademia del Piccolo arrivano anche ragazze islamiche, certo provenienti da altri contesti rispetto a quelli dove lo studio dell’italiano e della cultura europea non sono presi in considerazione, ed è proprio a figure come le loro, testimoni visibili di realtà diverse, che il progetto intende affidarsi per costruire i famosi “ponti” resi sempre più improbabili dalla situazione attuale. “Piccolo Open”, dice Li Cauli, “non è solo la traduzione di Piccolo Aperto, ma un’estensione del suo significato, un approfondimento che scava nel concetto stesso di accessibilità. Vogliamo dare forma a un ventaglio di strumenti tecnici e pratici dedicati a un ampio bacino di persone che per varie ragioni non parlano l’italiano e che hanno difficoltà ad accedere all’esperienza teatrale.
Vogliamo estendere sempre di più la possibilità di prendere parte alle nostre attività, incrociando le direttrici più urgenti per chi lavora oggi a teatro: la necessità di coinvolgere nuovi pubblici, aprendo l’offerta culturale a chi, a vario titolo, rischia di restarne escluso, e l’elaborazione di strategie di accessibilità in grado di consentire l’ingresso a una platea quanto più possibile ampia. Oltre ai sovratitoli, che nei fine settimana accompagneranno le produzioni (ah, non sapete che è economicamente molto impegnativo adeguare ogni sera le traduzioni alle voci e al labiale degli attori e che non è mai uguale? Adesso lo sapete), in versione bilingue saranno anche le campagne digitali, le introduzioni agli spettacoli e gli strumenti informativi, “per facilitare la partecipazione di chi vive, studia o transita a Milano senza parlare l’italiano come lingua madre”. Si parte con autori universali: Italo Calvino, Dante e Carlo Goldoni, e con due “segni” di segno, per così dire, inclusivo-storico: il primo adattamento per la scena di “Miracolo a Milano”, da Vittorio De Sica e Cesare Zavattini a cura di Paolo Di Paolo, con la regia di Claudio Longhi e l’interpretazione di Lino Guanciale, e diverse coproduzioni con il Festival di Avignone.