
Foto Ansa
Gran Milano
Il problema di Sala non è lo stadio ma la sua Giunta (non) politica
La questione di San Siro è solo la superficie: il vero nodo è la debolezza dell’attuale esecutivo comunale. Ora tocca al Partito democratico assumersi la responsabilità di guidare una fase nuova
Il vero tema politico non è San Siro. C’è un errore di parallasse, nella narrazione meneghina. Come se dalle vicende legate allo stadio (o meglio: la Grande funzione urbana San Siro, per stare al gergo) derivasse il successo o l’insuccesso del secondo mandato di Beppe Sala. Come se – Renzi docet – quello fosse un referendum e non quello che invece è: un atto amministrativo importante. Che potrebbe essere realisticamente approvato dal Consiglio ma che potrebbe anche essere rigettato. Back to basics: la giunta propone atti al Consiglio che li approva, li emenda, o li respinge. E infatti Sala lo scandisce: non passa lo stadio? Non mi dimetto. Vista così la vicenda viene derubricata non sull’importanza per la città – che resta di primo livello per molti aspetti, non solo sportivi – ma sull’impatto sulla tenuta di Sala, che è pari a zero. Si va avanti in qualunque caso. Se si imposta così la questione, è chiaro che la vicenda vera è invece quella tutta politica. E’ la politica, e dunque il Pd che è il partito di maggioranza, che decide su San Siro (e si prende la responsabilità di una eventuale ma remota bocciatura).
E’ la politica che soprattutto decide come procedere sulla Giunta, che è il vero punto debole dell’ultimo miglio di Beppe Sala. Perché è una Giunta poco politica, con posizioni occupate fino a poco fa da tecnici puri. Bravissimi, e – si consenta – pure onesti fino a prova contraria, come Giancarlo Tancredi e Guido Bardelli. Ma tecnici. Che quindi la politica può “scaricare”, uno dopo l’altro, senza crucciarsene. Via Guido Bardelli, il cui piano casa è un piccolo capolavoro (basterebbe leggerlo, cosa che non fa nessuno) scaricato dalla sinistra interna e a sinistra del Pd. Via Giancarlo Tancredi, abbattuto preventivamente dalla magistratura. Un Daspo giudiziario, praticamente. Un tempo si diceva che “è la Giunta che conta”. Lo si diceva per giustificare la transizione da Giuliano Pisapia a Beppe Sala, quasi fosse la garanzia che non si sarebbero combinati pasticci. Ed era una Giunta fortemente politica. C’erano i due Pier (Maran e Majorino). C’era Cristina Tajani, oggi senatrice, e molti altri. Guarda caso: sono la maggior parte di quelli che – nell’afasia generale generata dall’accoppiata inchiesta-vacanze agostane – hanno comunque presentato qualche idea e proposta pur dai nuovi incarichi. Perché c’era la Giunta che contava, e ora non conta più. Stagioni diverse, dottrine diverse. All’inizio si pensava che la politica fosse la garanzia di continuità. Poi che serviva la tecnica per gestire il secondo mandato, la cui traiettoria è naturalmente discendente. E invece no: è di nuovo il tempo della politica. Perché solo con idee, riflessione, polemiche quando serve e think-tank e gruppi di lavoro e comitati e insomma tutto quello che è il sale della politica si può preparare una “officina” (meglio non chiamarlo cantiere, di questi tempi, prima che qualcuno possa pensare di sequestrarlo) per costruire il nuovo programma della sinistra e e il nuovo patto per Milano.
C’è da chiedersi però se il Partito democratico, che è stato il principale attore politico che aveva portato a vincere Giuliano Pisapia dopo la fase delle primarie (insieme al movimento arancione), e che ha fornito il personale politico di tutta questa lunga stagione, abbia uomini e donne da impegnare in quest’ultima parte della sindacatura. Sicuramente si è buttata nella mischia Anna Scavuzzo, anche perché la delega all’Urbanistica le consente di entrare di diritto nel novero delle possibili candidate sindaco, e avvicina fattivamente le primarie, che prima sarebbero state vanificate da un probabile caminetto tra Pierfrancesco Majorino e Mario Calabresi. Ma chi altri avrebbe interesse a entrare in una Giunta a fine corsa per proporre idee forti? La palla è in mano ad Alessandro Capelli e a Silvia Roggiani, rispettivamente il segretario metropolitano e la segretaria regionale che lo ha appoggiato nella sua corsa congressuale. E’ un tandem, in pratica. E sta a loro pedalare.