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Gran Milano

Expo 2015, i dieci anni che hanno nutrito Milano

Maurizio Crippa

Il “modello Milano”, riformismo e buona politica, funziona. Ma ci sono sfide aperte: dall'housing al costo della vita. Appunti per il futuro

Ci sono due immagini simboliche della storia recente di Milano che i milanesi – ma, perché no?, anche tutti gli altri italiani – dovrebbero sempre ricordare. La prima è la sera del 31 marzo 2008, quando il Bureau International des Expositions assegnò a Milano l’Expo 2015 premiando, oltre al dossier organizzativo, il tema scelto: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Migliaia di milanesi si riversarono nelle strade, sul corso Buenos Aires, per festeggiare una “vittoria” sentita come di tutta la città, di tutta l’Italia, e una scommessa per tutti. Il sindaco che aveva raggiunto la meta era Letizia Moratti e quel giorno a Parigi, in attesa dl verdetto, al suo fianco c’era il premier Romano Prodi: non andrebbe mai dimenticato neppure questo (anche se si tratta troppo spesso di un wishful thinking), i grandi risultati sulla scena internazionale si ottengono con spirito e politiche bipartisan. Expo 2015 è stata uno dei migliori esempi, e molto ambrosiano, di questo modello positivo. Tre anni dopo, 2011, sarebbe diventato sindaco Giuliano Pisapia e l’onore e l’onere di portare a compimento l’impresa sarebbe spettato a una giunta di sinistra.

Mentre nel 2013, “per evitare problemi di governance del passato”, come disse il premier Enrico Letta, fu nominato Commissario unico per Expo Beppe Sala, che era stato (tra le altre cose) il city manager dell’epoca Moratti. E che con i galloni di Mr. Expo guadagnati sul campo  diventerà poi sindaco.  L’altra immagine simbolica porta la data del 1° maggio 2015. Quel giorno, giorno inaugurale, il centro di Milano fu devastato dalla furia violenta e imbecille dei black bloc. La risposta dei milanesi, guidati dal sindaco Pisapia, ma con ampia adesione di tutta la popolazione, fu esemplare: migliaia di cittadini scesero nelle strade con secchi e ramazze per ripulire la “loro” città. Niente divisioni, niente spazio alle violenze, tutti a sostegno di un’impresa comune. Del bene comune. Sono passati esattamente dieci da quell’evento che secondo nimby, populisti, professionisti del lamento e della decrescita infelice avrebbe dovuto essere un “fallimento passato presente e futuro”. Anzi una nuova stagione di malaffare. A partire da chissà quali speculazioni si sarebbero prodotte sull’area che (dopo molti pasticci, va detto) venne individuata per l’evento. Ne parliamo in dettaglio negli articoli di questa pagina. I fatti si sono incaricati di dimostrare l’esatto contrario, e se oggi la narrazione appare tutta impostata a sottolineare le negatività di Milano, soprattutto in termini di sostenibilità sociale (housing, costi della vita) è però un errore prospettico attribuire tali problemi solo all’Expo (“La forbice sociale si è allargata”, come da titolo del Corriere). Se oggi ci sono problemi “di sistema” urgenti e gravi da risolvere, se c’è una “torta” le cui fette vanno tagliate con più equità, questo nasce  anche – se non soprattutto – dal fatto che “la torta” da dividere in dieci anni è molto lievitata: Milano è, anche grazie a Expo, cresciuta in attrattività per visitatori e investitori; è meta ambita per studenti e giovani perché ha molto da offrire in conoscenza e opportunità. Milano ha oggi problemi di crescita, non di decrescita. Non ha perso abitanti nemmeno dopo il Covid, la trasformazione urbana prima e dopo Expo ne ha fatto una delle città più appetibili e sempre più internazionale: da un decennio i dati confermano che se un tempo imprenditori e artigiani si chiamavano Rossi e Brambilla, ora i cognomi più diffusi sono Hu e Ahmed.

Ma va ricordato che la grande trasformazione da città post industriale a città del terziario, e poi della conoscenza (basti pensare a MIND) e dell’innovazione è iniziata anni prima della corsa per Expo, negli anni post Mani pulite delle giunte Albertini, e Moratti, che hanno posto le basi di una trasformazione che non riguarda solo la skyline. Questi anni sono stati la dimostrazione della bontà di un “modello Milano” fatto di collaborazione politica, riformismo pragmatico, scelte condivise, affidabilità amministrativa. E non va dimenticata l’intelligenza che ha guidato la procura, dopo i lunghi anni in cui aveva dominato l’aggressivo “rito ambrosiano”, che ha saputo distinguere il grano dal loglio (molto il loglio) nelle gride giornalistiche e politiche che soffiavano sulla presunta “corruzione” dell’intera impresa. Un atteggiamento saggio e fermo che si è andato un po’ perdendo, con le nuove indagini molto strillate di oggi. La Milano di oggi ha nuovi problemi da affrontare, e uno è senza dubbio ritrovare lo spazio di vivibilità per una società che è sempre stata interclassista, inclusiva e dotata di un potente ascensore sociale che oggi è invece fermo al piano terra. L’altro aspetto da ritrovare, e questo vale anche per il resto del paese, è lo spirito municipale bipartisan in base al quale questa città non ha mai buttato via ciò che di buono gli altri avevano costruito. Un modello politico e amministrativo. E anche un modello creativo, quello che fece immaginare e poi avverare il sogno di Expo 2015.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"