Gogaia, nuovo album di Gaia Trussardi (foto dal suo profilo Instagram)   

GranMilano

Si può fare. La seconda vita di Gaia Trussardi e la start up dell'integrazione

Paola Bulbarelli

Lo scouting nei centri d'accoglienza, l'imprenditoria nella contaminazione culturale, un nuovo album con suoni afro: dopo il lavoro nella maison di famiglia l'icona glamour si è reinventata. Tornando alle sue origini di antropologa 

La sua scelta sarebbe piaciuta anche a suo padre Nicola, imprenditore con lo sguardo proiettato al futuro. Gaia Trussardi, uno dei suoi quattro figli, dopo un periodo nell’azienda di famiglia, guantai bergamaschi dal 1911 per poi diventare una delle maison più famose al mondo, ha dato una svolta al suo percorso lavorativo per intraprendere una strada diversa, forse più difficile, ma più vicina alle sue vere passioni come la musica, il teatro, la letteratura. La sfida è di quelle toste. E parte da una parola magica come integrazione, termine che più che più politicamente corretto non si può, ma che per Gaia significa diventarne imprenditrice a tutto tondo. Senza mai dimenticare la musica, il primo amore, e la moda, ma fatta a modo suo. “La moda non l’ho lasciata completamente – racconta al Foglio – tant’è che nel mio progetto d’integrazione la prima start up è proprio di un brand di moda. Non mi piaceva più operare in un sistema troppo globalizzato dove le regole del mercato standardizzato dettano la creazione e l’identità stessa di un brand”.

 

Da lì è iniziato il cambiamento. “Sentivo una forte esigenza di occuparmi di contenuti, una consapevolezza diversa. Anche influenzata dai miei studi, laureata in antropologia e sociologia, ho sempre avuto la tendenza a essere interessata all’uomo, al suo cammino, ai suoi problemi di cui spesso è artefice e di cui potrebbe anche essere il risolutore. I temi più importanti che ci riguardano li studiavo già vent’anni fa ed erano l’ecologia, la democrazia, l’uguaglianza, la distribuzione della ricchezza quello che potremmo chiamare il patto sociale”. Temi che ci riguardano tutti, tutti i giorni. “Nel momento in cui ho lasciato una situazione che ho portato avanti anche per dovere famigliare mi sono detta che avrei potuto cominciare anche prima”. Cosa significa progetto d'integrazione? “E’ una parola dai significati molto vasti. Non riguarda solo gli immigrati. Integrare vuol dire completare, visto come un rapporto bivalente: io integro te ma anche tu integri me. Integrare significa trasferire competenze in modo che l’autosufficienza e l’interdipendenza nel tessuto sociale diventino funzionali e armoniche”. Come si è mossa? “Il là è arrivato da un mio compagno universitario, Alex Legler, orientato a creare un incubatore di start up a tema migranti.

 

Siamo partiti con i migranti che arrivano e sono nei centri di accoglienza. Un lavoro ancora più ambizioso e difficile. Ho chiamato la Croce Rossa, sono andata al centro di Bresso. Hanno individuato sette uomini africani che potevano avere i requisiti, al momento disoccupati, con un titolo di studio di terza media: potevano essere i candidati perfetti per poter essere dei potenziali imprenditori. Attraverso un percorso di dialogo sono crollati i muri culturali iniziali, ascoltando le loro storie, le loro aspettative. Siamo arrivati alla possibilità di creare una società, un modello inclusivo che permette a chi lavora di diventare anche socio e avere delle quote. Abbiamo individuato tra loro un designer camerunense, con un suo brand. Ora è nata una capsule collection con la velleità di essere unisex, stampe che esprimono la multiculturalità, con il logo la maschera africana e soggetti dell’iconografia africana di diverse culture mischiate insieme. Siamo già online. Ed è nato anche il nostro incubatore di start up per migranti: “Pluvial Ventures”.

E la musica? “C’è sempre stata, se ami un’arte la possiedi dentro la tua carne. L’ho sempre fatta, ho sempre cantato, suonato e verso i vent’anni ho anche iniziato a scrivere testi. Quando sono tornata a Milano avevo una band mentre a Londra avevo registrato dodici pezzi. Per tante vicissitudini mi sono fermata. Ho ricominciato con un progetto personale, privato, di musica registrata da legare al progetto del mio discorso d’integrazione. Avrei voluto andare sempre controcorrente e nel mio piccolo l’ho fatto. E’ più difficile promuover nuovi talenti. I miei pezzi li integro con pezzi africani, faccio la talent scout. Ho trovato due artisti, Ezy Williams dalla Nigeria e Haruna Kuyateh dal Gambia che entrano nei miei pezzi in totale libertà. Il loro linguaggio dentro al mio linguaggio. E’ uscito l’ep su tutti i portali di musica e si chiama ‘Gogaia’, cinque canzoni, il singolo fuori ora ‘Only You’, il video live su YouTube”.

Di più su questi argomenti: