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Spirits d'avventura. Campari fa 160 in un mondo tutto nuovo

Mariarosaria Marchesano

Cambiano le regole globali del bere, la multinazionale rifà il Camparino e anticipa i nuovi stili

Gli americani neanche sapevano che il Negroni venisse fatto anche col Campari, lo hanno imparato durante il lockdown, quando hanno consolidato l’abitudine di preparare gli aperitivi in casa per famiglia e amici. Nel mondo anglosassone e nei paesi nordeuropei si beve da sempre molto di più in casa che fuori, a differenza dell’Italia dove prevale la tendenza a consumare al bar. I milanesi, per esempio, sono tornati di corsa nei bar non appena questi hanno potuto organizzare spazi all’aperto, cosa che in molti posti di New York o anche sulla costa californiana è ancora proibito.

 

L’aperitivo al bancone? Per ora non se ne parla. Il futuro? Quando è scattato il blocco abbiamo cambiato tutti i nostri piani di marketing, puntando a creare contenuti educational sul web per insegnare alle persone a fare i cocktail così come avviene per la cucina. Avevamo visto giusto perché questa è la nuova tendenza di consumo in mercati chiave come gli Stati Uniti”. Bob Kunze-Concewitz, da 13 anni ceo austriaco (ma è nato a Istanbul) del gruppo Campari, racconta al Foglio com’è cambiato il mondo degli spirits con regole di distanziamento che suggeriscono un comportamento opposto a quello che da sempre è il motto dell’azienda milanese che celebra i suoi 160 anni: Toasting life together, brindare alla vita insieme.

 

Un’esortazione alla convivialità che è nello spirito degli italiani, per ora sono favoriti dal bel tempo e dal via libera arrivato dalle amministrazioni cittadine a occupare marciapiedi e cortili con i tavolini. Ma non è così dappertutto e anche in Italia arriverà l’inverno con l’obbligo di mascherina anche quando si va al bar e chissà se a quel punto le persone non preferiranno tornare nelle case comprando bevande alcoliche nei supermercati, canale cresciuto nei mesi che vanno da marzo a maggio.

 

“C’è incertezza, non c’è dubbio. Intanto, però, si stanno affermando nuove abitudini nei consumi a seconda dei paesi, degli stili di vita e dell’approccio dei governi nelle restrizioni”, prosegue Kunze-Concewitz, seduto nella nuova sala appena inaugurata del Camparino in Galleria a Milano, luogo storico in cui nel 1860 il liquorista Gaspare Campari inventò l’aperitivo rosso poi diventato un cult. Un’operazione immobiliare durata sei mesi ha consentito l’ampliamento del Camparino che adesso, oltre a essere dotato di un bancone esterno che affaccia su piazza Duomo, è accessibile anche al piano interrato e al piano di sopra dove sono stati creati ambienti con un gusto sobrio ma con tocchi scenografici. Un altro segno di una Milano che vuole rilanciare.

 

“E’ un investimento importante, lo sa? Qui in Galleria lavorano circa 40 persone, più di tutta la Campari Austria, tanto per fare un paragone”, dice Kunze davanti al “pancotto” preparato dallo chef Davide Oldani, che si occupa dei manicaretti serviti al Camparino. E, in effetti, aver rafforzato la presenza nel centro di Milano, dopo i festeggiamenti nella sede di Sesto San Giovanni dove nei giorni scorsi è stata inaugurata la statua dell’infinito di Campari (7 tonnellate di marmo di Carrara), ha un valore simbolico per una multinazionale che ha scelto di trasferire la sede legale in Olanda allo scopo di avere maggiore flessibilità nella sua strategia di crescita industriale (Campari è quotata in Borsa ma è controllata dalla famiglia Garavoglia, erede della dinastia che l’ha fondata).

 

Una scelta che ha fatto discutere e anche storcere un po’ il naso in alcuni ambienti della politica ma che alla fine è stata digerita (l’azienda ha sempre dato ampie rassicurazioni sul mantenimento della produzione in Italia e sul fatto che non ci sono fini fiscali), come dimostra anche il francobollo dedicato a Campari dal ministero dello Sviluppo economico per premiare un’eccellenza del sistema produttivo italiano (vi è raffigurata una versione aggiornata del famoso spiritello avvolto nella buccia d’arancia, una delle immagini pubblicitarie più apprezzate anche nel mondo dell’arte).

 

Ora la sfida di questo gruppo storico, che conta una cinquantina di brand, 4.000 dipendenti (chiamati “camparisti” per sottolinearne il senso di appartenenza), 21 sedi estere e 22 stabilimenti produttivi nel mondo, è affrontare il cambiamento volgendolo a proprio favore dopo aver archiviato il primo semestre del 2020 con vendite in calo di oltre l’11 per cento e profitti in flessione del 40 per cento. Per Kunze su questi risultati si riflette in pieno l’effetto Covid, ma nel frattempo sono state avviate le contromosse per un rilancio nel lungo termine con la trasformazione digitale e l’implementazione dell’e-commerce che nei paesi come Stati Uniti, Germania e Regno Unito rappresenta il canale di vendita degli spirits che cresce di più.

 

“Il Covid è un periodo della vita attraverso il quale dobbiamo passare e che a noi che gestiamo le aziende ci sta anche insegnando tanto – osserva il top manager – Nessuno, per esempio, poteva immaginare che c’è una clientela di fascia alta fosse propensa a imparare a fare i cocktail. Oppure, che in Inghilterra l’Aperol sarebbe diventato durante il lockdown uno dei prodotti di largo consumo più cliccati, davanti alla carta igienica”. Giocare in contropiede, insomma, come con l’acquisizione di Tannico, concepita durante i mesi di blocco quando la vendita di vini su internet è esplosa suggerendo a Campari un’ulteriore diversificazione.

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