Draghi e Letta, i figli del divorzio 40 anni dopo

Luciano Capone

Gli eredi politici di Ciampi e Andreatta, 40 anni dopo la separazione Tesoro-Bankitalia, occupano ora ruoli cruciali per portare a compimento il processo di modernizzazione e integrazione europea avviato da quella lettera del ministro al governatore

In questi mesi, complici la pandemia e la crisi di governo, è passato del tutto inosservato un importante anniversario della storia italiana e della nuova costituzione economica del paese: il 40° anniversario del “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia. Il 12 febbraio 1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta inviò al governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi la lettera che avviò la “separazione dei beni” tra le due istituzioni: cessava così l’impegno della Banca centrale, ormai in vigore dal 1975, di acquistare alle aste i titoli di stato invenduti, ovvero di finanziare gli ampi deficit di bilancio del governo stampando moneta. Con una semplice lettera, che apparentemente andava a regolare un aspetto tecnico, veniva riformata radicalmente la costituzione economica. Nelle parole di Andreatta: “Iniziava un nuovo regime di politica monetaria”.

 

Quando Andreatta diventa ministro del Tesoro nel 1980, l’inflazione era al 20%. Inoltre, il rafforzamento della scala mobile frutto dell’accordo Confindustria-sindacati del 1975 amplificava l’impatto degli choc internazionali sui prezzi. E così, con lo scoppio della seconda crisi petrolifera, il paese si avvita nella spirale salari-prezzi. In questo contesto, serve un “regime change” frutto di un accordo tra Ciampi e Andreatta che, sapendo di non avere appoggi neppure nella maggioranza, assume la forma di uno scambio di lettere tra ministro e governatore. Dopo il fatto compiuto non si torna più indietro. Fu un atto politico audace, per certi versi impopolare, attraverso cui Andreatta e Ciampi impressero una riforma strutturale, quasi istituzionale, che guardava al lungo termine e puntava a “un’Italia moderna” (per citare il titolo di un libro che raccoglie gli scritti dell’economista democristiano).

 

 “Il divorzio non ebbe allora il consenso politico – scrisse Andreatta sul Sole 24 Ore nel decennale del “divorzio” – nato come ‘congiura aperta’ tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso, soprattutto sul mercato dei cambi, abolire per ritornare alle più confortevoli abitudini del passato”. E’ questa “congiura aperta” che consente la permanenza nello Sme, di abbattere l’inflazione e di restituire l’indipendenza alla Banca d’Italia sul modello di altri paesi (tipo la Bundesbank in Germania). E’ un regime change che avvicina l’Italia al modello che stavano adottando le istituzioni europee e che pone le basi per l’ingresso nell’euro.

 

Per una strana coincidenza, esattamente a 40 anni da quell’evento, hanno conquistato ruoli di primo piano gli eredi politici di Ciampi e Andreatta: Mario Draghi ed Enrico Letta. Le storie personali, professionali e politiche del presidente del Consiglio e del segretario del Pd sono intrecciate a quelle dei due protagonisti del “divorzio”. Draghi, a inizio anni Ottanta, ebbe il suo primo incarico da consulente al ministero del Tesoro grazie ad Andreatta che poi lo segnalò al suo successore Giovanni Goria, che a sua volta lo nominò direttore esecutivo alla Banca mondiale. E un ruolo ancor più determinante l’ha avuto Ciampi, che prima lo segnalò al ministro Guido Carli come direttore generale del Tesoro e poi, quando Ciampi arrivò al governo prima come presidente del Consiglio e poi come ministro del Tesoro, Draghi fu un protagonista delle politiche di privatizzazione e di rigore che consentirono l’ingresso dell’Italia nell’euro. E cioè il compimento del percorso avviato dalla separazione consensuale del 1981 fra Tesoro e Banca d’Italia. Non è un caso, infatti, che i “sovranisti” di destra e di sinistra che in questi anni hanno invocato e perseguito lo smantellamento dell’euro vedano proprio nel “divorzio” il peccato originale, l’inizio della perdita della sovranità monetaria e dell’asservimento al cosiddetto “vincolo esterno”. La biografia e la formazione del segretario del Pd sono indissolubilmente legate a Nino Andreatta, di cui custodisce la memoria politica. Letta lo conosce nel 1990, quando diventa prima ricercatore e poi direttore dell’Arel (il centro studi fondato dall’economista), poi lo segue come capo segreteria alla Farnesina, quando dopo Tangentopoli Andreatta diventa ministro degli Esteri del governo Ciampi. E successivamente, proprio per scelta di Ciampi, nel 1996 Letta viene nominato al ministero del Tesoro (dove direttore generale è Mario Draghi) come segretario generale del Comitato per l’euro.

 

Nel tempo, sia Draghi sia Letta sono stati tra i pochi a difendere pubblicamente le ragioni di quella scelta. Dieci anni fa, nel corso di un convegno sui 30 anni del “divorzio”, Letta come padrone di casa dell’Arel e Draghi come ospite d’onore in quanto governatore della Banca d‘Italia, entrambi elogiarono la lungimiranza di quella scelta di tre decenni prima: “Una società come la nostra di cortotermismo può morire, per vivere serve un’alleanza del lungo termine”, diceva Letta. E Draghi gli faceva eco: “E’ necessario completare la costruzione europea guardando avanti. Trenta anni fa, nel nostro paese, Andreatta e Ciampi seppero guardare avanti, e lontano”. Ora i figli del divorzio, gli eredi di Andreatta e Ciampi, occupano ruoli di responsabilità in una fase cruciale: le ingenti risorse del Next Generation Eu devono servire per riforme strutturali di lungo termine; ma operano ancora le spinte profonde per una spesa pubblica inefficiente, le stesse che hanno imperversato anche dopo il divorzio e che hanno fatto esplodere il debito pubblico. Riusciranno Draghi e Letta a mettere in pratica la lezione politica dei loro maestri e a completare il processo di modernizzazione avviato 40 anni fa?

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali