Bello FiGo

"Non pago affitto"

Luciano Capone

Fenomeno Bello Figo, cortocircuito di sesso, politica e sproloqui. Così il giovane rapper ghanese ha mandato in tilt mezza Italia

Un giorno forse se ne occuperanno gli storici, i sociologi, gli scienziati della comunicazione, per tentare di dare una risposta alla domanda: com’è possibile che l’artista più divisivo della società italiana di questi anni sia stato un tipo che non sa suonare, che non sa cantare, con un tatuaggio di Hello Kitty sul petto, unico nero con la zeppola e che, tra l’altro, sbiascica cose senza senso? E le risposte a questa domanda saranno utili a cercare di capire le lacerazioni sociali, il confronto politico, il panorama culturale e i meccanismi mediatici di questa Italia. Il potere comunicativo e distruttivo dei social network, il razzismo, il politicamente corretto e i luoghi comuni, la satira, le incomprensioni generazionali, il linguaggio politico stereotipato, la libertà di parola e le minacce di morte, la fine delle ideologie e di qualsiasi schema concettuale: il delirio collettivo nato attorno a questo rapper è tutto in quel “Non pago affitto” e “Non faccio opraio (sic!)” che ha fatto sbroccare mezzo paese.

 

Partiamo con ordine. Lui è Bello FiGo Gu (meglio noto come Bello Figo), al secolo Paul Yeboah, ventiquattrenne ghanese da più di dieci anni residente a Parma, che da circa quattro anni ha avviato la sua attività di rapper caricando canzoni su YouTube. Ha iniziato con un brano dal titolo eloquente: “Mi faccio una segha (sic!)”. Per anni è stato uno dei tanti esemplari della fauna che vive nel sottobosco di internet, sfornando a ripetizione canzoni che parlano in maniera ossessionata di soldi e bisogni primordiali come sesso e cibo, “pasta con tonno” e “figa bianca”. 

 

 

Questo personaggio assurdo, grazie alla sua costanza, diventa uno zimbello del web e inizia a macinare clic che gli portano serate in discoteca, qualche soldo e popolarità, così tanta che è costretto a cambiare nome. All’inizio si faceva chiamare Gucci boy, come la casa di moda: “La gente cliccava i miei video – ha raccontato – solo che a un certo punto se uno cercava Gucci su Google usciva la mia faccia. E allora gli avvocati mi hanno mandato una mail, chiedendo di cancellare il profilo. Così sono finito in Tribunale, con Gucci abbiamo raggiunto un accordo e adesso ho un altro nome”. Bello Figo, appunto.

 

A un certo punto Bello Figo, attraverso lo stesso meccanismo usato dai siti di news e di bufale, ha iniziato a innestare le sue tematiche preferite sui temi di attualità per entrare nel flusso e intercettare traffico. E così ha scritto “Salviamo i Marò” per andare in India insieme “ai nostri amici negri”, naturalmente accompagnati dalle “fighe bianche”, per recuperare i militari “innocenti”. In “Ho paura di Isis” si occupa a modo suo di terrorismo. A un tratto si avvicina ai fili dell’alta tensione, paragonandosi a Benito Mussolini e Adolf Hitler, esaltati per il loro stile “swag” (figo) : “Sembro Mussolini perché io sono troppo ‘lini’, tutte le mie figa sono troppo ‘lini’, io non lavo mai i piatti perché sono troppo Mussolini. A 10 anni la Juve mi ha comprato ma io ho detto di no, perché io amo la musica come Mussolini”. E ancora: “Sono bello come Adolf Hitler , sono ricco come Adolf Hitler, sono morto come Adolf Hitler. Tutte le mie fighe sono tutte bianche, ora tu puoi dire che sono razzista ma non me ne frega perché sembro Adolf Hitler”.

 

 

A questo punto quello che già era un seminoto personaggio trash, che veste, dice e canta cose improbabili come la sua acconciatura, capisce che la politica è il terreno perfetto per raccogliere clic e commenti, siano di fan o di hater. Così pubblica brani, sempre sgrammaticati, senza metrica né musicalità, su altri personaggi “swag” come Mattarella (“Ho i capelli freshi come Mattarella, mi faccio tua sorella”), Berlusconi (“Swag Berlusconi, scopano con me perché sembro Berlusconi e i maschi sono gelosi”) e Renzi (“Rensi, giovane presidente, ricco, figo Rensi, bello Rensi, sono figo Rensi”).  

 

 

Il ragazzo ha capito che per fare clic basta giocare con le parole, con i tic degli italiani, mescolare i suoi pensieri da erotomane a Hitler o Mattarella, in un prodotto che non ha alcun senso ma che smuove tutta una serie di riflessi condizionati, concetti e sentimenti presenti in ogni persona. Il meccanismo funziona e la svolta arriva con un paio di pezzi che mescolano due temi di attualità politicamente molto divisivi, l’emergenza immigrazione e il referendum costituzionale, mandando in cortocircuito un paese intero. I due brani, che insieme arrivano a 13 milioni di visualizzazioni, sono “Io non pago affitto” e “Referendum costituzionale” e rappresentano, chissà quanto consapevolmente, la più grande opera di trollaggio di massa della storia italiana. Il troll, nel gergo internettiano è colui che interagisce con argomenti fuori tema e frasi senza senso, con l’obiettivo di provocare e infastidire. Qui Bello Figo prende tutti gli stereotipi urlati dalla destra nei programmi televisivi e li rivendica: “Io non pago affitto, Tutti i miei amici son venuti con la barca, appena arrivati in Italia, abbiamo: casa, macchine, fighe”. E poi “Io non faccio opraio, non mi sporco le mani perché sono già nero”. E ancora: “E’ stato Mattarella a dirci che noi possiamo venire in Italia, Matteo Renziò (sic!) ha detto che è casa nostra”, “Noi vogliamo le fighe bianche, poi vogliamo Wi-fi, io dormo in albergo a quattro stelle”, “Son scappato in Italia, ma alle sette di mattinao non portano mai la lasagnao, portano sempre el latteo, ma a me non mi piace”.

 

Nell’altro pezzo, come ogni grande artista impegnato, si lancia nella campagna referendaria, ma lo fa a modo suo: “Diciamo di sì al referendum, vogliamo vota’ perché Matteo Renzi ci dà la figa bianca. Nessun Lega Norduo, vogliamo vota’ partito democratico: avremo 35 euro al giorno, in albergo a fare festa con le fighe bianche”. Ma il fenomeno Bello Figo raggiunge il suo apice, sfuggendo di mano a tutti, quando sbarca su Rete 4, ospite di Maurizio Belpietro a “Dalla vostra parte”, il cui pubblico è abituato a sentire più o meno quotidianamente le cose che canta il rapper: gli immigrati non sono profughi, fanno la bella vita, vivono in albergo, vogliono le nostre donne. Il risultato della puntata, che è già una pagina di storia della televisione italiana, è un nonsense totale. C’è Belpietro che gli chiede, dandogli secondo i codici televisivi il lei, “Signor Bello Figo, perché fa canzoni provocatorie sulle cose che danno fastidio agli italiani?”. E lui invece a dire che non sono provocazioni ma diritti umani: “I miei fratelli sono esseri umani che hanno bisogno di wi-fi, cibo buono e ragazze”. Alessandra Mussolini urla che dovrebbe essere cacciato “a calci” perché fa soldi sulle sofferenze degli italiani, un altro ospite lo accusa di incitare allo stupro e al femminicidio, una parlamentare del Pd dice che è uno strafottente, Bello Figo diventa oggetto delle invettive dei cittadini calabresi e dei sindaci veneti in collegamento, c’è persino un mediatore culturale africano che invece lo accusa di sfruttare le sofferenze degli immigrati: “Sono d’accordo con Mussolini – urla – uno così deve essere preso a calci in culo!”. La risposta di Bello Figo a questa lapidazione è il “dab”, una mossa hip-hop che si fa distendendo un braccio e ripiegando l’altro verso il petto e che in quel contesto e per gli altri non ha alcun senso. 

 

Un esperto della televisione come Aldo Grasso si rende conto che qualcosa di grande e storico è accaduto: “Difficile non ragionare su quello che è successo nel programma che aveva come ospite Bello Figo”, scrive sul Corriere. “Per chi si occupa di media (ma non solo) il momento è esemplare. Il conduttore invita il rapper sapendo che avrebbe causato reazioni, il fraintendimento (ironia contro indignazione) fa il resto”. E il resto per Grasso è un “linciaggio”.

 

Da quel momento niente è stato più uguale, Bello Figo è diventato il simbolo dell’odio della destra xenofoba, paradossalmente per canzoni che dicono esattamente le stesse cose che i suoi odiatori ripetono quotidianamente. Insulti, striscioni e offese nelle strade, minacce di morte e quattro concerti annullati, a Roma, Brescia, Mantova e Legnano, per le intimidazioni di gruppuscoli di estrema destra intenzionati a sfruttare la visibilità di questo personaggio che sfrutta il dolore degli immigrati o le sofferenze degli italiani o entrambe le cose o forse nessuna delle due. Matteo Salvini, che è pronto a farsi i selfie e andare in tv con i doposci dopo le valanghe, non poteva lasciarsi sfuggire Bello Figo. “Lo manderei a raccogliere cotone, pomodori, arachidi e banane”, dice alla “Zanzara”, dove quel genio di Giuseppe Cruciani ha fatto di Bello Figo un idolo e un simbolo, dibattendo persino con un immigrato nero fascista del Senegal di Casapound che l’accusava di offendere gli italiani. Cortocircuito totale. A Milano dei ragazzini hanno disturbato un corteo di Forza Nuova “dabbando” e mandando a palla le canzoni di Bello Figo, oscurando il contropresidio antifascista dell’Anpi. Bello Figo batte Bella ciao. 

 

Ma questo personaggio è un soggetto problematico anche per la sinistra, perché ribalta completamente la retorica ventennale sull’immigrazione, non entra in alcun canone e contemporaneamente ridicolizza e alimenta gli stereotipi xenofobi. “Difendere quello che fa Bello Figo non è semplice – scrive su Internazionale uno scrittore di sinistra come Christian Raimo, che pure prende le parti del rapper – Bello Figo incita alla violenza? E’ volgarmente sessista? Non c’è il rischio difendendolo di ritrovarsi invischiati nella sua stessa ironia?”. Tutti girano come criceti nella ruota di Bello Figo – compreso Bello Figo, non si sa più se come beneficiario o vittima di tanta popolarità – per cercare di dare un senso a qualcosa che di insensato, ma in realtà in un gioco delle parti in cui ognuno parla ai propri fan, lettori o followers. Bello Figo va in tv a “dabbare” per parlare a chi lo segue su YouTube, la Mussolini urla per aizzare i telespettatori impauriti, il mediatore culturale per tranquillizzarli. Per la destra prende in giro gli italiani, per la sinistra insulta gli immigrati. Con una sintesi magistrale Aldo Cazzullo, nella rubrica delle lettere del Corriere, copre l’intero arco costituzionale: “E’ uno squallido furbacchione, che speculando sulla tragedia degli annegati e sul disagio degli italiani riesce a essere razzista sia nei confronti dei neri che dei bianchi (le sue parole sulle donne sono odiose)”. E poi l’editorialista aggiunge un elemento politico: “La canzone in cui annuncia beffardamente il Sì al referendum ha danneggiato il povero Renzi più degli appelli di Zagrebelsky”.

 

Si capisce allora che Bello Figo è il vero intellettuale di riferimento di questo periodo dadaista, in cui il programma di Grillo consiste contemporaneamente nell’uscita dall’euro e nella richiesta all’Europa di eurobond e in cui Salvini, oltre a farsi i selfie in difesa degli indiani d’America con la maglietta di Donald Trump, rischia di farsi arrestare dall’amico Putin per aver esposto in piazza a Mosca striscioni contro Renzi senza autorizzazione. Con Bello Figo siamo oltre il surrealismo e il situazionismo, oltre l’assurdità e la dissociazione dei movimenti del ‘77 (che per fare quelle cose hanno dovuto prima sorbirsi Deleuze e Debord e il post-marxismo), oltre ogni categoria musicale. Ci sono stati gruppi demenziali di successo, gli Skiantos, gli Squallor, Elio e le storie tese, ma si tratta di grandi autori e musicisti. Bello Figo non rientra più in alcuna categoria logica e musicale, non rispetta neppure la grammatica e la sintassi. Niente significa niente.

 

E però, forse proprio per questo, è l’artista più scandaloso e politicizzato. È l’opposto del finto anticonformismo populista di rapper come Fedez, che con i suoi inni di partito è un po’ il Mariano Apicella del M5s, o J-Ax che alla soglia dei 50 anni canta ancora canzoni sulle canne e la marijuana. Questo passaggio storico di dadaismo di massa andrebbe celebrato e messo in scena sul palco del massimo spettacolo nazionalpopolare del paese, l’Ariston, con un’ospitata al festival di Sanremo. Sarebbe un evento che offuscherebbe tutte le polemiche e gli scandali del passato, la chitarra spaccata dai Placebo, il dito medio di Eminem, la farfallina di Belen, il finto pancione di Loredana Bertè, quello che voleva buttarsi di sotto salvato da Pippo Baudo. Tutta robetta rispetto a “Non pago affitto”. Ma non si farà. Perché questo paese non ha il coraggio di guardarsi in faccia, ma soprattutto perché Bello Figo ha già detto la sua su Twitter: “Tutti sanno ke mi voliono a Sanremo ma fa tropp cagà quindi vadò a Sanromolo. Carlo Conti NeGro”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali