Russell Crowe nella parte di John Forbes Nash, il matematico premio Nobel al centro del film “A Beautiful Mind” di Ron Howard (2001)

Soli nell'infinito

Roberto Volpi
La bellezza dei numeri primi. Sono infiniti, ma seguono un andamento decrescente all’interno dell’universo dei numeri interi: più si va avanti, meno se ne trovano. L’ultimo scoperto ha 22 milioni di cifre. Ecco a che cosa serve continuare a cercarne di nuovi. 150 mila dollari a chi scoprirà un primo di oltre 100 milioni di cifre (ma ci sono voluti tre anni per trovare il “campione” attuale).

La solitudine dei numeri primi è l’azzeccato titolo del romanzo di Paolo Giordano che nel 2008 si aggiudicò lo Strega e il Campiello e vendite (s)misurate in milioni più che in centinaia di migliaia di copie. Azzeccato. Anzi, geniale. Ma non del tutto vero. I numeri primi non possono soffrire indistintamente di solitudine, non fosse che per il buonissimo motivo che sono infiniti.
Il grande matematico inglese G.H. Hardy in quella deliziosa biografia intellettuale che è Apologia di un matematico sostiene che “i modelli di un matematico, come quelli di un pittore o di un poeta, debbono essere belli; le idee, come i colori o le parole, debbono legarsi in modo armonioso. La bellezza è il requisito fondamentale: al mondo non c’è posto per la matematica brutta”. E come primo esempio di matematica bella, baciata dalla bellezza, porta proprio la dimostrazione euclidea dell’esistenza di una infinità di numeri primi.

 

Ma ci vollero più di duemila anni perché dopo Euclide un altro grandissimo matematico – anzi, proprio il “principe dei matematici”, com’era ed è ancora oggi conosciuto – Carl Friedrich Gauss formulasse alla fine del XVIII secolo l’ipotesi che il rapporto An/n, ovvero il rapporto tra il numero di primi An compresi in un certo numero intero n (1.000, 1.000.000, 1.000.000.000 o quel che vogliamo) e questo stesso numero intero n decresce al crescere di n e che una buona approssimazione di questo andamento è dato dalla semplice espressione 1/log n – uno diviso per il logaritmo di n – che, appunto, diventa sempre più piccolo al crescere di n. E altri cento anni circa dalla sua formulazione ci sono voluti perché, alla fine dell’Ottocento, questo teorema dei numeri primi venisse dimostrato. Teorema altamente difficile da dimostrare, se si pensa che in vita non ci riuscì il “principe dei matematici”.

 

Dunque i numeri primi sono infiniti e seguono un andamento tendenzialmente decrescente all’interno dell’universo dei numeri interi: più grandi sono i numeri interi e meno numeri primi troviamo: la proporzione o percentuale dei primi scende dal massimo di 16,8 per cento nei primi mille numeri naturali al 12,29 per cento nei primi diecimila numeri, al 9,59 per cento nei primi centomila, al 7,85 per cento nel primo milione, al 5,08 per cento nel primo miliardo di numeri. E’ degno di nota il fatto che nel primo miliardo di numeri la percentuale di primi non è neppure un terzo della percentuale di primi che si riscontra nel primo migliaio di numeri naturali. I numeri primi si allontanano l’uno dall’altro come galassie nell’universo, al diventare dei numeri naturali sempre più grandi. In questo senso sì, nel loro tendere all’infinito i numeri primi tendono altresì a distanziarsi sempre di più l’uno dall’altro, andando dunque a infilarsi precisamente nella loro solitudine, nella solitudine dei numeri primi. E questo mentre i numeri naturali sono sempre affiancati dai loro confratelli: anche il più grande dei numeri naturali ce ne ha uno più piccolo di una unità alla sua sinistra e uno più grande di una unità alla sua destra, non si scappa. Tutt’altro destino, quello dei numeri primi. Sono in buonissima e perfino affollata compagnia finché sono piccoli ma più crescono e più devono rassegnarsi a una vita di solitudine.

                                                                          


 

Il 22 gennaio di quest’anno l’esperto di numeri primi Curtis Cooper ha scoperto quello che è al momento il numero primo più grande che si conosca: conta la bellezza di oltre 22 milioni di cifre – 22.338.618, per la precisione. E’ tanto grande che se pretendessimo di scriverlo copriremmo la distanza tra Firenze e Roma, mentre per leggerlo avremmo bisogno di mesi di tempo. Curtis Cooper aveva già scoperto, tre anni prima, quello ch’era allora il più grande numero primo e che ora è solo il secondo numero primo più grande che si conosca: aveva 17 milioni di cifre.Per quanto smisurati questi numeri primi possano apparire c’è un premio di 150 mila dollari che aspetta chi scoprirà un primo di oltre 100 milioni di cifre e uno ancora maggiore di 250 mila dollari per chi scoprirà un primo di oltre un miliardo di cifre. Per il momento, il professor Cooper, che per verificare la bontà della sua scoperta ha dovuto eseguire un test durato oltre un mese, ha ricevuto un premio di 3 mila dollari. Non propriamente una grande cifra per un lavoro tanto grande.

 

E’ l’organizzazione no profit Electronic Frontier Foundation a offrirli, ma non è chiaro quanto varranno in termini reali questi premi quando si arriverà a scoprire i primi che se li aggiudicheranno. Potrebbero volerci infatti ancora decenni, se non secoli, a giudicare dal fatto che ci sono voluti tre anni per trovare un primo più grande del precedente di 5 milioni di cifre e che 5 milioni è la ventesima parte di 100 milioni e la duecentesima di un miliardo. Auguri a quanti si ficcano nell’impresa, è il caso di dire.
Curtis Cooper, professore all’Università del Missouri, è il cacciatore dei cosiddetti “numeri primi di Mersenne” più accanito che ci sia al mondo. Opera all’interno di un progetto avviato da oltre due decenni e denominato Great Internet Mersenne Prime Search (Gimps), che utilizza i computer messi a disposizione da moltissimi volontari per raggiungere la potenza necessaria a elaborare calcoli con un algoritmo sviluppato dall’ex della Apple Richard Randall nel 1990. Il numero primo scoperto da Cooper nel gennaio di quest’anno è così lungo da riempire le pagine di una cinquantina di romanzi delle dimensioni dei Promessi sposi. Per questo viene espresso secondo una formula escogitata dal monaco francese Marin Mersenne nel XVII secolo: 2 elevato alla potenza di 74.207.281 meno 1.

 

Il monaco Marin Mersenne, che frequentò il collegio gesuitico di La Fleche insieme a Cartesio, scoprì una particolare sottoclasse dei numeri primi, quella esprimibile da 2 elevato a potenza (necessariamente un numero positivo e intero) meno 1. Ad esempio 3 – il più piccolo numero primo di Mersenne – è il risultato di 2 elevato alla seconda meno 1. Il secondo numero di Mersenne è 31, dato da 2 elevato alla potenza di 5 meno 1. A differenza degli altri numeri primi, quelli di Mersenne sono un sottoinsieme ristrettissimo: l’ultimo scoperto da Curtis Cooper è solo il quarantanovesimo della serie e già siamo allo sproposito di un numero primo composto da oltre 22,3 milioni di cifre. Il progetto Gimps è in questo momento all’avanguardia nella ricerca dei numeri di Mersenne, questi autentici giganti dei numeri primi, e dal 1996 a oggi ne ha svelati quindici, alla media di due nuovi primi ogni tre anni. Per gli ultimi due, però, ci sono voluti tre anni ciascuno. Dal che si capisce come, a meno che non ci si inventi un nuovo algoritmo capace di scoprire nuovi numeri di Mersenne più velocemente (e una parallelamente accresciuta potenza di calcolo), i tempi di scoperta di sempre nuovi numeri di Mersenne sono destinati ad allungarsi implacabilmente. Eppure la dimostrazione di Euclide dell’infinità dei numeri primi ci assicura che, volendo, si può proseguire alla ricerca di questi numeri fino alla fine dei tempi, sicuri che ce ne sarà sempre uno da portare alla luce. In mille anni, magari.  

                                                                    


 

Certo, la domanda che a questo punto sale alle labbra in modo pressoché automatico del lettore non matematico non può che essere una, questa, decisamente irriverente: ma chi glielo fa fare a questi professoroni, a questi scienziati, a questi geni della matematica, di cercare sempre nuovi e più smisurati numeri primi? Glielo fa fare, intanto, la stessa natura umana, sempre tesa a cercare di superare tutti i suoi limiti, quali che siano questi limiti: si tratti del salto in alto come della grandezza dei numeri primi. C’entrano anche, indubbiamente, la spinta, la curiosità e la gioia che dà la ricerca in sé; c’entra il miraggio della scoperta e il suo gusto, quando la scoperta arriva. Ma nel caso dei primi entra in gioco pure il fattore sicurezza. Dall’impiego di numeri primi di questa sterminata lunghezza si possono ricavare codici di tutti i tipi, a cominciare da quelli delle ormai diffusissime in tutto il mondo carte di credito, pressoché inattaccabili dall’esterno. La sicurezza, in un mondo sempre più affollato di codici individuali, ha dato una spinta alla ricerca dei e sui numeri primi. E pensare che proprio G.H. Hardy traccia nella sua Autobiografia di un matematico, da buon matematico puro, anzi purissimo, l’elogio della matematica che non serve a nulla, che non ha impieghi pratici, che non può essere piegata ad alcuna necessità o bisogno del mondo e degli uomini che non sia, s’intende, una questione di godimento intellettuale ed estetico. Per questo amava i numeri primi, perché era convinto (siamo negli anni venti-quaranta dello scorso secolo) che non avrebbero mai goduto di alcuna applicazione nella vita di tutti i giorni. Mai previsione si sarebbe rivelata più sbagliata. La ricerca sui primi soddisfa le esigenze più dissimili, le più sublimi e le più pragmatiche. Ha perfino un risvolto filosofico e quasi metafisico. Vediamo di che si tratta.

 

Nei primi 10 mila numeri naturali ci sono 1.229 numeri primi. La grandezza media di questi 10 mila numeri naturali è di 5.000,5 mentre quella dei numeri primi in essi compresi è di 4.667,2. Nei primi 100 mila numeri naturali ci sono 9.592 numeri primi. La grandezza media di questi 100 mila numeri naturali è di 50.000,5 mentre quella dei numeri primi in essi compresi è di 47.352,5. Nel primo milione di numeri naturali ci sono 78.498 numeri primi. La grandezza media di questo milione di numeri naturali è 500.000,5 mentre quella dei numeri primi in essi compresi è 478.361,3. I numeri primi sono dunque mediamente più piccoli di 333,3 rispetto alla grandezza media dei numeri naturali da 1 a 10 mila, di 2.628 rispetto alla grandezza media dei numeri naturali da 1 a 100 mila e di 21.639,2 rispetto alla grandezza media dei numeri naturali da 1 a 1.000.000.

 

Si capisce subito che: a) la grandezza media dei primi è “sempre” inferiore alla grandezza media dei numeri naturali quale che sia l’intervallo di numeri naturali preso in esame; b) la grandezza media dei primi è tanto più piccola di quella dei numeri naturali quanto più grande è l’intervallo dei numeri naturali preso in esame; c) la differenza tra la grandezza media dei primi e la grandezza media dei numeri naturali è invece tendenzialmente decrescente in termini percentuali, tant’è vero che la grandezza media dei primi è inferiore del 6,7 per cento alla grandezza media dei numeri naturali nell’insieme dei primi 10.000 numeri naturali, del 5,3 per cento nell’insieme dei primi 100.000 numeri naturali e del 4,3 per cento nell’insieme del primo milione di numeri naturali. Cosicché è evidente che la differenza assoluta tra la grandezza media dei primi e la grandezza media dei numeri naturali continuerà a crescere in valore assoluto al crescere di “n” mentre non farà che ridursi in termini percentuali rispetto alla grandezza media dei numeri naturali.

 

La dimostrazione che i numeri primi sono “comunque” mediamente più piccoli dei numeri naturali, quantunque grande sia “n”, è implicita da un lato nell’infinità (dimostrata da Euclide) dei numeri primi e, dall’altro, nella legge di Gauss sulla diminuzione secondo una progressione logaritmica dei numeri primi mano a mano che aumenta il numero “n” dei numeri naturali. Più grandi diventano i numeri naturali e più rari si fanno i numeri primi. I numeri primi sono tanti quando i numeri naturali sono piccoli e pochi quando i numeri naturali sono i grandi, così che più grandi diventano i numeri naturali e mediamente più piccoli, al loro confronto, saranno i numeri primi in essi compresi. Che l’universo dei numeri primi “è” un universo di numeri più piccoli dell’universo dei numeri naturali è dunque un fatto dimostrato – anzi, che non ha bisogno di dimostrazione. Che cosa possiamo inferire, sulla natura dei primi, da una tale conclusione? Certamente che i numeri primi sono primi in un senso ancora più forte, fondativo. In quanto più piccoli vengono prima, precedono gli altri numeri. Sono l’avanguardia dei numeri, i battistrada, sono più costitutivi, rappresentano la quota, la parte, e meglio ancora il dominio, il bastione più saldo e basilare dei numeri naturali. Sono in certo senso i più naturali tra i numeri naturali. Non per niente tutti i numeri non primi possono essere “costruiti” a partire dai numeri primi.

 

Si può arrivare fino a pensare che i numeri primi “non avrebbero potuto in alcun modo” essere mediamente più grandi dei numeri naturali. Ciò avrebbe contraddetto la loro natura di primi, perché essi sono i componenti indispensabili alla costruzione di tutti gli altri numeri. L’opposto – numeri primi mediamente più grandi di quelli naturali – avrebbe rappresentato una contraddizione in termini, una contraddizione in certo senso ontologica, e non soltanto logica e matematica. Anche per questo motivo puramente e razionalmente filosofico, non ci sarà mai, per quanto possiamo spingere nell’infinito il nostro sguardo, un’inversione di tendenza: non arriverà mai il momento in cui i numeri primi, pur a partire da un numero intero “n” immensamente grande, cominceranno a diventare mediamente più grandi dei numeri naturali. La differenza relativa o percentuale tra la grandezza media dei numeri primi e la grandezza media dei numeri naturali è asintotica, non può che avere questa natura: e ciò vuol dire che pur non smettendo mai di crescere la differenza in valore assoluto tra queste due grandezze quella relativa o percentuale continuerà imperterrita a ridursi fino a portarsi a un soffio, un niente, un infinitesimo della grandezza media dei numeri naturali. Senza che però ci sia mai un ricongiungimento tra le due grandezze, senza che la solitudine dei primi possa mai venire meno, sciogliendosi nell’abbraccio dei numeri naturali.

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