Festa dell'Ottimismo

Gentiloni: "Governo Meloni? La sfida cruciale sarà il Pnrr"

Il commissario europeo per gli affari economici: "Il nuovo esecutivo? Non mi pare abbia fatto dichiarazioni euroscettiche. Lo invito a non tirarsi indietro nel fare le riforme"

Per Paolo Gentiloni, l'ottimismo sul futuro dell'Italia passa "dal Pnrr e dalle sue straordinarie potenzialità per colmare il ventennale ritardo di crescita del nostro paese", spiega il commissario europeo per gli Affari economici e monetari, intervistato dal direttore Claudio Cerasa durante la Festa dell'Ottimismo a Firenze. "Il governo Meloni? Lo vedremo alla prova. Può avere delle biografie, ma non mi pare abbia fatto dichiarazioni euroscettiche. L'Italia è l'unico paese che ha chiesto l'intera dotazione possibile sia di trasferimenti diretti, sia di prestiti. E quindi 200 miliardi. Ci sono tante riforme e investimenti da attuare: l'invito che rivolgo al nuovo esecutivo è di non tirarsi indietro".


 

Claudio Cerasa: Sopra di lei abbiamo una scritta enorme, che riguarda il senso della nostra festa. Forse è un po’ spericolato, ma è questa parola che ci ossessiona: ottimismo. Paolo Gentiloni è ottimista sul futuro dell’Italia?


Paolo Gentiloni: E’ un po’ controcorrente oggi l’ottimismo, senza dubbio. Giorni fa ero a Washington, per alcuni incontri organizzati dal Fondo monetario e della Banca mondiale. E il clima generale era di pessimismo o grande preoccupazione. C’è qualche motivo per essere ottimisti in Italia? Io penso di sì. Dovessi citarne uno, direi il Pnrr. Questo paese da più di vent’anni ha un ritardo di crescita rispetto agli paesi europei, eppure ha un’occasione straordinaria di riforme e investimenti. Se si riuscisse a proseguire nell’attuazione di quel programma, penso che ci sarebbero motivi di ottimismo nonostante i tanti motivi negativi che ci circondano.
Considerata anche la potenziale agenda di governo euroscettica, quali sono gli elementi più importanti che dovrebbero preoccuparci riguardo al futuro del Pnrr? 
Il nuovo governo lo vedremo alla prova. Può avere dei tratti biografici antieuropei, ma non mi pare che abbia fatto delle dichiarazioni antieuropee. Vedremo. Senz’altro, quello di cui sono consapevole è il fatto che noi siamo stati il paese più ambizioso con questi piani di recovery e resilienza: l’unico ad aver chiesto l’intera dotazione possibile sia di trasferimenti diretti, sia di prestiti. E quindi 200 miliardi. Non hanno fatto così la Spagna, il Portogallo, altri paesi con il debito alto. Finora abbiamo detto sì a due richieste di rimborsi, fatte alla fine del 2021 e a metà di quest’anno. Alla fine del 2022 arriverà la terza richiesta di erogazione, sempre intorno ai 20-25 miliardi. E ci sono tante cose da fare. Sul piano delle riforme, ad esempio, c’è la legge sulla concorrenza, molto difficile in Italia. Noi abbiamo stabilito che sarebbe stato obbligatorio avere ogni anno una legge sulla concorrenza: ricordo di averla fatta nel 2017 in un governo che presiedevo, ma certamente non è stata fatta su base annua. E gli investimenti non sono meno importanti. Perché la messa a terra di tutti questi lavori, in un paese come l’Italia, è una sfida. Quindi l’invito che posso rivolgere al prossimo governo è che su queste risorse e sfide bisogna andare davvero a testa bassa. Altrimenti il rischio di ritardi è alto. E noi su questo non saremo benevoli, perché non è nell’interesse comune. Questa operazione di cui molti chiedono la ripetizione, e cioè andare insieme sui mercati per trasferimenti e prestiti – adesso se ne discute soprattutto sull’energia: Mario Draghi è stato molto insistente su questo – dipende dalla serietà con cui la Commissione sorveglierà l’attuazione dei programmi. Noi non saremo benevoli, non perché ce l’abbiamo con l’Italia o qualsiasi altro paese ritardatario, ma perché se non siamo seri in questo programma, l’idea di ripetere operazioni di questo genere non ci sarà.
 

La Commissione europea sarà benevola rispetto a qualcuno che vorrà modificare il Pnrr, come annunciato in campagna elettorale dal centrodestra?
 

Purtroppo l’espressione modificare è un po’ generale. Non è detto che se cambia il governo bisogna riscrivere questi piani, basti pensare che noi avremo più o meno, nel corso di attuazione di questo Nex Generation Eu, una trentina di cambi di governo. E non è che possiamo rifare i piani ogni volta che cambia un governo. Ciò che è possibile fare, ed è pure definito dal regolamento di questo piano, sono alcune modifiche motivate dalle circostanze. E ovviamente non è che manchino i problemi, legati all’inflazione e alla crisi delle materie prime. Questo lavoro di aggiustamento si sta facendo da mesi. Onestamente anche con l’Italia. Non è un tabù, a condizione che il problema sia risolvere una questione che ha delle cause molto evidenti. Invece l’idea che siano cambiate le nostre priorità politiche rispetto al Pnrr, sarebbe un errore. E comunque non è consentito dalla legislazione europea. 

Rispetto ai temi del futuro ci si chiede se la percezione che in Europa si ha di questo governo non sia legata anche al fatto che i principali azionisti della maggioranza sono stati elogiati da vari esponenti del populismo europeo. Fino a che punto questo può costituire un elemento di preoccupazione? E cosa ci dice la storia di Liz Truss rispetto al futuro dell’Italia?


Ovviamente ci sono delle affinità culturali che legano diversi partiti e in una certa misura anche diversi governi in Europa. Ci sono tre governi che fanno parte del raggruppamento politico di cui Giorgia Meloni è presidente: quello polacco e quello ceco, oltre a quello italiano. Io non ho mai avuto particolare fiducia nell’idea di un’internazionale sovranista, perché mi sembra un po’ un ossimoro. Se tu metti l’interesse nazionale davanti a tutto, è difficile condividere questa impostazione con altri, nonostante le affinità culturali. Il punto è capire in questo momento che cosa è importante per i diversi paesi: solidarietà, progetti comuni europei, se possibile soluzioni comuni sull’energia, se possibile ulteriori strumenti comuni dal punto di vista economico-finanziario. Questo è nell’interesse dell’Italia e penso che il governo italiano si muoverà nell’interesse dell’Italia. Se non lo facesse, farebbe un errore. E veniamo al Regno Unito. Non c’è dubbio, senza tirare in ballo la shadenfreude, quell’espressione tedesca che significa gongolare per i guai dei tuoi non-amici, che si possano imparare almeno due lezioni dalla crisi improvvisa del governo Truss. La prima è che Brexit è stata chiaramente un errore, soprattutto per gli inglesi, la cui condizione oggi è molto peggiore rispetto a quella che avevano prima. La seconda è che c’è un’instabilità nei mercati finanziari che fa sì che prendere delle decisioni avventate è molto pericoloso. E qui non si tratta di dare lezioni agli inglesi, ma di trarne da loro. Questa lezione servirà molto a tutti i governi europei.


Parlando della solidarietà europea, Gentiloni ha utilizzato due volte l’espressione “se possibile”. Questo “se possibile” è stato trasformato da Mario Draghi in una forte critica alla Commissione europea, soprattutto per la lentezza nel prendere decisioni comuni su temi strategici e per le eccessive divisioni. E’ una critica che lei accetta?


Difendo la Commissione, primo perché mi paga lo stipendio e secondo per definizione. E’ vero che ci abbiamo messo un po’ di tempo a mettere sul tavolo una proposta. Voi sapete come funziona il sistema istituzionale europeo: nessuno può fare proposte se non la Commissione, il potere di iniziativa non ce l’hanno i governi, né il Parlamento. Quindi capisco il disappunto dei paesi, per il fatto che le proposte della Commissione sono arrivate un po’ tardi. Anche se alcune erano arrivate anche prima, onestamente, e avevano prodotto dei buoni risultati: se sugli stoccaggi abbiamo dei livelli molto alti è anche perché la Commissione già nel mese di luglio aveva fatto una raccomandazione su questo profilo. Quel che conta, comunque, a mio avviso, è che il governo italiano, e in particolare Mario Draghi, si sia battuto con grande forza e efficacia affinché la proposta portata dalla Commissione al Consiglio europeo fosse approvata. Penso che dobbiamo veramente ringraziare Draghi da questo punto di vista. Io vivo lì, da tre anni. E da Bruxelles si capisce il peso specifico dei diversi protagonisti: quello di Mario Draghi è stato notevole durante il suo governo. Per due ragioni. Innanzitutto, per la competenza che tutti gli riconoscono sin dai tempi della presidenza della Bce. Ma anche perché lui è stato capace di liaison tra il contesto europeo e gli Stati Uniti. E anche all’interno dello stesso contesto europeo: nei vari pacchetti di sanzioni sull’Ucraina che siamo riusciti a decidere – sulla loro efficacia se ne potrà discutere, ma sono stati abbastanza impressionanti rispetto ai tempi in cui ero ministro degli Esteri ai tempi dell’invasione della Crimea – Draghi ha avuto un ruolo cruciale. Mi auguro, anzi confido, che il governo italiano continui ad avere tale ruolo. Perché l’Italia è necessaria lì dentro. Soprattutto in un momento come questo, in cui la dinamica tra i due maggiori paesi europei non è facilissima.
 

Guerra, impatto delle sanzioni sulla nostra economia. Ci sarebbero moltissime cose di cui parlare. Ma nell’ultimo minuto che abbiamo, io le farei una domanda su un elemento storico di questa giornata: l’Italia per la prima volta ha un presidente del Consiglio donna. Da Merkel a Lagarde, da Metsola a von der Leyen: perché le donne che hanno successo in politica, in Europa sono tutte di destra?


Non lo so. Primo, non è vero. Se uno oggi guarda il tavolo del Consiglio europeo non troverà moltissime donne, ma quasi tutte quelle che ci sono, sono di sinistra. Molte provengono dai paesi nordici, alcune anche di grande autorevolezza. La vera domanda che Cerasa voleva fare è: perché non in Italia? A livello europeo abbiamo avuto tante donne: Magdalena Andersson che fino a qualche giorno fa era la prima ministra svedese, già ministro delle Finanze per molti anni, è un esempio di leadership di sinistra femminile – anche se non è stata d’accordo con l’Italia su molte delle materie di politiche di bilancio. Perché una presidente del Consiglio donna in Italia sia arrivata per la prima volta da destra, questo non lo so. Prendiamo il buon esempio, penso che sia una cosa che rimarrà abbastanza nei libri di storia. Sappiamo benissimo della discussione sulla parità di genere, ma non è sempre vero che la leader donna la promuova: si pensi a Merkel o a Theresa May. In alcuni casi invece sì, per esempio le due che io frequento di più: von der Leyen e Lagarde, molto impegnate nei loro universi sulla promozione della parità di genere. Che le donne lo facciano o meno, dipende. Ma il fatto che diventino leader di un paese è una cosa straordinaria. E uno dei motivi per cui dobbiamo fare gli auguri a Giorgia Meloni.

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