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il foglio sportivo

​​​​​​​Il calcio del futuro a San Siro con Il Foglio

Giovanni Battistuzzi e Francesco Gottardi

Le grandi squadre, la sfida della serie A, i giovani, le prospettive del business. Agnelli, Marotta, Gravina, Antonello, Scaroni, Casini. Girotondo sul destino dello sport italiano all’evento del Foglio a Milano

San Siro è un continuo movimento. Fuori dallo stadio Giuseppe Meazza. E dentro, sul prato, dove vanno e vengono uomini che seguono la direzione del taglio dell’erba. La cura per il campo è a base di falciatrici e tridenti per arieggiare le zolle, e poi acqua che dagli idranti raggiunge tutto il campo di gioco. Si muove anche sotto alla tribuna d’onore del Meazza, nella sala executive, lì dove il Foglio sportivo ha organizzato il suo evento, “Il Foglio a San Siro”, per raccontare il mondo dello sport, i suoi protagonisti, le storie che lo animano. Storie che si muovono di corsa, su pattini veloci, su handbike, sotto canestro, in abitacolo o al timone di una barca a vela e anche dietro alle scrivanie di federazioni e squadre. Lo sport è fatto  anche di parole, di cose fatte e dette. Di passato e di futuro. Il passato e il futuro che continuano a rincorrersi anche a San Siro, dentro e forse soprattutto fuori lo stadio. In quella domanda che continuano a farsi tifosi e appassionati: che ne sarà del Meazza? Le vetrate della sala nella quale è andato in scena l’evento del Foglio sportivo si aprono sul prato dove scorre il pallone e viene da chiedersi: per quanto ancora? Dovremo rinunciare davvero a quella che chiamano la Scala del calcio?


Per il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, intervistato da Umberto Zapelloni, lo stadio Giuseppe Meazza “ha fatto il suo tempo”. Il calcio cambia, muta ciò di cui ha bisogno e con lui, a volte, cambiano anche gli scenari nei quali il pallone viene passato, tirato, parato. “Anche uno stadio come Wembley è stato sacrificato e ricostruito, eppure con il nuovo non c’è paragone. Uno stadio come l’attuale Meazza oggi è davvero antifunzionale sotto ogni punto di vista”. 


Ne sanno qualcosa i bianconeri: “Il nostro Stadium ha avuto una crescita del 700 per cento rispetto a quando giocavamo al vecchio Comunale”, ha sottolineato Agnelli: “Oggi ci attestiamo sui 70-80 milioni di euro in introiti dallo stadio. Certo con Milano, anche per capienza potenziale, è difficilmente paragonabile. Però uno stadio di proprietà nel calcio di oggi serve senz’altro”. Che fare allora di San Siro? Agnelli pensa alla Nazionale. Perché “l’Italia avrà sempre bisogno di uno stadio da 60 mila spettatori, un luogo di rappresentanza. E’ da valutare se a Milano o a Roma. Per questo occorre fare una riflessione”. Intanto San Siro guarda al 2026, alle Olimpiadi invernali di Milano e Cortina: tra quattro anni ospiterà la cerimonia di apertura (quella di chiusura si terrà all’Arena di Verona).


Inter e Milan immaginano alternative e aspettano decisioni che però non sembrano arrivare. Il presidente dei rossoneri, Paolo Scaroni, dà ragione ad Andrea Agnelli: “La penso come lui”, dice. Questione di contorno: “L’intera zona attorno a San Siro è sempre o troppo piena, quando c’è la partita, o troppo vuota quando non c’è. Meriterebbe di più”. Un’unione di vedute con i nerazzurri. “Sono tre anni che i due club sono allineati su questo progetto”, dice il ceo corporate dell’Inter, Alessandro Antonello a Umberto Zapelloni e Giuseppe Pastore. “Negli ultimi dieci anni in Europa sono stati costruiti 133 impianti in 29 paesi, investiti 19 miliardi di euro: noi, come sistema Italia, non possiamo tirarci indietro. Ci sono grandi opportunità anche qui: 4,5 miliardi di investimenti in infrastrutture sportive nei prossimi dieci anni. Ci sono progetti avanzati (Firenze, Bologna), al di là degli intoppi burocratici contiamo di esserci anche noi a Milano. Il sistema infrastrutturale serve a far crescere il calcio e l’economia di questo paese. Uno stadio moderno è fondamentale anche per Milan e Inter per tornare competitivi in Europa”. Anche perché, dicono i dirigenti delle due squadre milanesi, una ristrutturazione dell’impianto era impossibile. Primo, secondo e terzo anello scollegati, problemi strutturali e di evacuazione delle tribune più alte. “E poi la difficoltà di trovare una soluzione temporanea dove poter giocare per due squadre”, sottolinea Antonello.


C’è un legame tra impianti di proprietà e risultati sportivi. Non se ne può fare a meno se si spera di poter essere protagonisti nelle coppe, Champions League su tutte. Per Scaroni l’ultimo esempio, almeno in termini cronologici, è andato in scena in Manchester City-Real Madrid. “I Blancos incassano dallo stadio 140 milioni l’anno a fronte dei 34 del Milan: come possono i nostri tifosi credere che la squadra possa competere con i top club quando i semplici ricavi dal botteghino sono così distanti? Appena abbiamo un progetto esecutivo, partiamo. Che sia a San Siro o altrove”.


Per vincere, per tornare a vincere, Inter e Milan sono d’accordo che serva andare oltre la nostalgia e la storia dell’impianto. E sarebbe meglio accelerare i tempi: “Siamo in attesa che l’amministrazione comunale nomini un responsabile per il dibattito pubblico: è una fase che dovrebbe concludersi a giorni, noi nel frattempo stiamo lavorando per integrare un dettagliato studio di fattibilità presentato già nel 2019”, dice Antonello.


Un nuovo stadio, che sia nel quartiere attuale, nella zona nord-ovest di Milano, o da un’altra parte del capoluogo lombardo, l’importante è che si faccia il prima possibile. Il ceo corporate dell’Inter ha detto che “il piano B”, quello di un impianto a Sesto San Giovanni, “esiste nel momento in cui il progetto viene pensato”, anche perché “in Italia la burocrazia non aiuta”. Ed esiste a tal punto che Scaroni lo ritiene “sempre più realistico ogni giorno che passa”. Un modo per mettere pressione al comune di Milano?


Nel frattempo le milanesi si contendono il campionato, con i rossoneri ora in vantaggio di due punti dopo la sconfitta dei nerazzurri contro il Bologna. Il ceo sport dell’Inter, Giuseppe Marotta, intervistato da Roberto Perrone, prova a vederla con un minimo di ottimismo: “Campionato? E’ chiaro che da uomo di sport sorrido ma è un sorriso amaro: fa parte del gioco, abbiamo perso una battaglia ma non ancora la guerra. Dobbiamo cercare di ricomporci più in fretta possibile, siamo incazzati, non depressi, e ci sono ancora quattro partite in un calcio come quello di oggi, in questo senso innovativo, in cui tutte le squadre possono mettere in difficoltà le big”.


Una serie A equilibrata, forse troppo, figlia di un livellamento che ancora, a quattro giornate dal termine, non ha emesso giudizi definitivi. Dallo scudetto alla retrocessione è ancora tutto da decidere: “Questo depone a favore di uno dei campionati più interessanti degli ultimi anni”, dice Marotta, che aggiunge che “questo fa bene al calcio, dopo il lungo dominio della Juventus e il nostro ultimo scudetto arrivato con largo anticipo”.


Anche il presidente della Federazione italiana giuoco calcio, Gabriele Gravina, continua a dirsi ottimista sul futuro del calcio italiano, nonostante l’assenza degli Azzurri al Mondiale in Qatar: “Nell’insieme sta bene. Nella sua dimensione sociale e culturale lo sta altrettanto. La dimensione economica è quella che ci fa preoccupare un po’ di più: c’è un motore che perde colpi ma non una macchina da rottamare. Si richiede grande senso di responsabilità e su questo, con tutto il Consiglio federale, stiamo cercando di lavorare”. Soprattutto nel campo della sostenibilità del sistema calcio: “Vogliamo adottare dei provvedimenti su un piano triennale per attivare dei meccanismi di controllo sotto il profilo dei costi. Poi c’è il tema delle riforme complessive, sul quale il nostro tavolo tecnico collabora con la parte politica”.


Sostenibilità economica vuol dire anche cambiare il sistema calcio, almeno per Andrea Agnelli: “Oggi la Uefa funge da regolatore, legislatore e giudice, operatore commerciale monopolista e gamekeeper per le competizioni: questa non è una governance moderna. Ed è il punto saliente del ricorso presso la Corte di giustizia europea, toccandone uno dei princìpi fondamentali: la libera concorrenza in un libero mercato. Che poi ci sia bisogno di avere determinate funzioni è evidente, ma non possono essere accentrate in un unico operatore”. L’idea che voleva seguire la Superlega è ancora viva. 


Una sostenibilità che però deve essere anche tecnica e sportiva, che parta dai giovani. Lorenzo Casini, presidente della Lega serie A: “I ragazzi riescono a giocare molto poco nella massima divisione, pur avendo successo nelle categorie giovanili. Quali rimedi? Correggere le regole sulle seconde squadre, che rispetto ad altri paesi europei qui hanno forti limitazioni nello scambio di giocatori per l’impiego in serie A”.


Può bastare questo? Secondo Giuseppe Marotta no. Il problema è più ampio: “Manca un ministero dello Sport”. Per il ceo sport dell’Inter le difficoltà  non riguardano infatti solo il calcio, ma un gran numero di discipline: “Non ci sono più ragazzini che inseguono davvero questa passione. Lo sport e la scuola sono elementi fondamentali, ancora di più ora che le società dilettantistiche stanno scomparendo. La crisi dello sport italiano nasce da questa situazione. Poi c’è una mancanza di formazione: non ci sono più i maestri di una volta. Oggi si misura la capacità di un allenatore in base ai risultati che ottiene, foss’anche fra i giovanissimi: è un approccio assurdo, i dirigenti si chiedano qual è il loro compito, che è formare gli atleti e soprattutto gli uomini del domani”.


Come sarà, questo calcio di domani, non è ancora chiaro e i tentativi di immaginarlo, a volte, sembrano un addio al calcio che abbiamo conosciuto. E anche il futuro di San Siro rimane avvolto nella nebbia in val Padana. Cochi e Renato, tifosi milanisti, non c’avrebbero mai dedicato una canzone alla fine del Meazza. L’incertezza però resta. Perché “c’è sempre qualcuno che parte. Ma dove arriva se parte?”.

 

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