l'intervista
“Il reato di femminicidio è inutile, illogico e di difficile applicazione”. Parla la prof. Elena Mattevi
La giurista: "Nel nostro ordinamento non esisteva nessuna lacuna. Assistiamo all’ennesimo ricorso al diritto penale per rispondere, in termini meramente repressivi e simbolici, a fenomeni ad alto tasso emotivo, dimenticando invece di investire sulle politiche di prevenzione"
Il reato di femminicidio? Inutile, simbolico, irrazionale, ma soprattutto di dubbia efficacia e di difficile applicazione. E’ netto il giudizio di Elena Mattevi, professoressa di Diritto penale all’Università di Trento, sul nuovo reato introdotto dopo il via libera unanime della Camera di martedì. La notizia dell’approvazione definitiva del disegno di legge bipartisan è paradossalmente passata in secondo piano, travolta dalle polemiche politiche generate dalla decisione della maggioranza di sospendere l’esame del ddl sulla violenza sessuale. “L’introduzione del reato autonomo di femminicidio è innanzitutto inutile perché già oggi nel nostro ordinamento esiste il reato di omicidio, aggravato qualora venga commesso nel contesto di relazioni familiari o affettive o di altre manifestazioni della violenza di genere, e quindi proprio nella maggior parte dei casi che riconduciamo alla nozione di femminicidio. La pena prevista per l’omicidio aggravato è l’ergastolo, cioè quella prevista ora dal nuovo reato”, spiega Mattevi, che aggiunge: “Veramente c’è qualcuno che pensa che la previsione dell’ergastolo possa dissuadere una persona dal commettere un omicidio?”.
“I femminicidi sono compiuti da soggetti che difficilmente possono definirsi razionali, maturano in contesti particolari. Non credo che un uomo, che è stato lasciato dalla sua compagna ed è incapace di accettare o gestire il rifiuto e l’abbandono, e che non è ancora riuscito a interiorizzare i valori della libertà della donna e più in generale della persona diversa da sé, possa essere scoraggiato dal commettere un femminicidio soltanto per il fatto che nel codice penale è previsto un reato che prevede l’ergastolo”, afferma Mattevi. Insomma, “nel nostro ordinamento non esisteva nessuna lacuna. Assistiamo all’ennesimo ricorso al diritto penale per rispondere, in termini meramente repressivi e simbolici, a fenomeni ad alto tasso emotivo”.
Il delitto di femminicidio (articolo 577-bis) viene definito come il cagionare “la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali”. “Si pongono evidenti problemi di accertamento delle condotte – riflette la giurista – Le prime sei ipotesi di reato sono caratterizzate da una motivazione di genere (‘in quanto donna’). Ma come sarà possibile provare che una donna è stata uccisa in quanto donna oppure per altre ragioni che non attengono alla sua identità biologica? L’ipotesi relativa al ‘rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo’ fa invece riferimento a un profilo meramente relazionale, quindi risulta ancora più irragionevole la distinzione del reato di omicidio operata in base al sesso biologico della vittima. L’ultima ipotesi, infine, pone un problema di indeterminatezza: esiste un omicidio che non limiti le libertà individuali? E’ difficile immaginare una condotta omicidiaria realizzata con dolo intenzionale che non abbia il fine di sopprimere l’esercizio di libertà della vittima”. Per Mattevi, in definitiva, “sarebbe stato più opportuno rivedere le aggravanti del reato di omicidio e inserire una specifica aggravante neutra, anziché creare un reato autonomo”.
“Ciò che preoccupa di più – prosegue la giurista – è che l’introduzione del reato si inserisce in una riforma a costo zero. Temo che sposando una logica meramente punitiva, con l’illusione di aver trovato finalmente una buona soluzione, si finisca per dimenticare l’obiettivo principale: quello di lavorare sulle politiche di prevenzione, provando davvero a intercettare in tempo queste tragedie per evitarle”.
Quanto alla decisione adottata dalla maggioranza di sospendere l’iter di approvazione-lampo del ddl che cambia il reato di violenza sessuale, con l’introduzione del principio del “consenso libero e attuale”, Mattevi condivide la scelta: “Riformare la normativa è necessario perché si è creata nel corso del tempo una scissione tra legge e la giurisprudenza, ma la decisione di fermarsi e approfondire la materia è opportuna perché la tipizzazione di una fattispecie così complessa fa emergere tanti aspetti delicati, che riguardano soprattutto le garanzie delle persone accusate. Trovo giusto effettuare un supplemento istruttorio, e credo ci sia spazio per dei miglioramenti”.