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In confusione
Come il fronte del "No" smonta da solo i "No" al referendum
Il paradosso dell'Anm: la separazione delle carriere "c’è già" ma è eversiva perchè voluta da Licio Gelli della P2, nonostante fossero a favore Giovanni Falcone e Giuliano Vassalli. Come la discussione sulla riforma sta già entrando nella sua fase propagandistica
Hai voglia a dire che bisogna stare “nel merito”. La discussione sulla riforma della giustizia, che ora è appena agli inizi, è entrata nella sua fase propagandistica acuta. Due sono le caratteristiche principali: confusione e semplificazione. Un argomento, intramontabile, usato anche da magistrati è che questa è la riforma di Licio Gelli: la separazione delle carriere tra giudice e pm era nel Piano di rinascita democratica della loggia P2. E quindi la norma è di per sé eversiva. Non conta nulla, ovviamente, che storicamente a favore della separazione delle carriere siano stati magistrati come Giovanni Falcone e giuristi come Giuliano Vassalli, il padre del nuovo sistema penale accusatorio. Se lo diceva Gelli, allora la separazione delle carriere è di per sé eversiva.
Il problema, però, è che contemporaneamente l’Anm sostiene che “la separazione delle carriere esiste già” perché pm e giudici raramente cambiano funzione durante la vita professionale. Pertanto, facendo un torto alla verità e un affronto alla logica, l’Anm sostiene che la separazione delle carriere dei magistrati è inutile oppure eversiva. O forse entrambe.
Non si riesce quindi a capire se alla fine Gelli abbia già vinto, perché la separazione già c’è, e tutto sommato non si sta così male visto che l’Anm difende l’assetto attuale. Oppure se il Gran Maestro sia a un passo dal suo trionfo postumo. Insomma, nella descrizione dell’Anm la riforma di Nordio sembra come il gatto di Schrödinger, che nel paradosso del fisico quantistico era sia vivo sia morto.
Non è l’unico aspetto singolare delle critiche alla riforma. L’altro argomento forte è che la separazione delle carriere porta inevitabilmente al controllo del governo sui pubblici ministeri. Si tratta, ovviamente, di una falsità. La riforma Nordio non prevede alcuna sottomissione all’esecutivo: il pm continuerà a essere autonomo e indipendente, come adesso, solo in una carriera separata dal giudice, anch’esso autonomo e indipendente.
Ma l’aspetto surreale è che i paesi usati come esempio negativo nei convegni dell’Anm non sono l’Iran o il Venezuela, ma democrazie compiute come la Francia, il Portogallo o la Spagna, dove peraltro la cronaca mostra quotidianamente come la magistratura non risparmi i governi: in Francia anni fa fu rinviato a giudizio addirittura il ministro della Giustizia in carica Dupond-Moretti, per non parlare del caso Sarkozy; in Portogallo un’inchiesta giudiziaria ha fatto cadere il governo socialista di Antonio Costa; in Spagna è indagata mezza famiglia del premier, i vertici del suo partito ed è rinviato a giudizio persino il procuratore generale (ovvero il capo dei pm nominato dal governo). Ciò che sorprende della tesi “attenzione che rischiamo di fare la fine di paesi come Francia, Spagna, Portogallo, Regno Unito, Germania, Svezia, Olanda” è la grande autostima dell’Anm, che pensa che la magistratura italiana funzioni – per definizione – meglio di quella delle principali democrazie europee. Il problema, però, dell’uso di questo argomento nella campagna referendaria è ritenere che anche gli italiani pensino che la magistratura italiana sia la migliore del mondo, e pertanto da difendere così com’è. L’argomento del controllo governativo sui pm, quindi, oltre che falso rischia di essere pure controproducente sul piano elettorale.
Molto più efficace di questa tesi sbandierata dal presidente dell’Anm, e dal frontman dei magistrati Nicola Gratteri, è quella di segno opposto: il problema della riforma non è che il pm sarà sottoposto al governo, ma che così diventerà una scheggia impazzita. “Non voglio un pm super poliziotto, più interessato a vincere a tutti i costi – dice ad esempio al Fatto l’ex procuratore generale di Torino Marcello Maddalena –. I cittadini sarebbero meno garantiti”. Più esplicito su questo rischio è un altro ex magistrato come Luciano Violante: “Si costituisce la casta dei pm, 1.200 magistrati, che, attraverso il proprio Csm, si autogovernano privi di qualsiasi vincolo gerarchico, e sono gli arbitri indiscussi della libertà e della reputazione dei cittadini”. L’esito della riforma non è quindi la perdita di autonomia di un pm addomesticato alla politica, ma l’assoluta indipendenza di un pm irresponsabile nei confronti di chiunque. Non si comprende bene chi nel sistema attuale freni i pm irresponsabili, ma non è da escludere in ipotesi che con la separazione delle carriere la situazione possa peggiorare.
Ma può la medesima riforma costituzionale produrre una cosa e il suo opposto? L’assoggettamento dei pm alla politica e la totale autoreferenzialità dei pm? La logica direbbe di no, ma ormai non conta più nulla. Come il famoso “merito” della riforma. Si vota su altro: contro il governo di Giorgia Meloni, o forse contro il fantasma di Licio Gelli. Nell’ultima assemblea dell’Anm un oratore, dopo aver letto un testo del fondatore della P2 che indicava la sua volontà di mettere la magistratura sotto il controllo del governo, ha concluso l’intervento dicendo: “Questo è quello che voleva fare Gelli. Questo non è ovviamente il testo della riforma, ma è quello che temo tra qualche anno rischiamo di vedere”. Applausi della platea.