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Il Colloquio
"La riforma non distrugge la magistratura, avvicina l'Italia ai paesi democratici". Parla Ortensio Zecchino
“Basta con i toni apocalittici dell’Anm, la separazione delle carriere era nella Bicamerale D'Alema", dice il giurista democristiano autore del contestato emendamento votato anche da Sergio Mattarella. "Se la sinistra va al referendum invocando la fine del mondo fa un favore alla Meloni”
“Partiamo da una considerazione generale: secondo me è una buona riforma. La si può contestare, legittimamente. Ma bisognerebbe mettere da parte i toni apocalittici dell’Anm e di una parte della sinistra perché sono poco credibili”.
Ortensio Zecchino, storico esponente della Dc e ministro dell’Università nei governi D’Alema e Amato, è autore del famoso emendamento nella Bicamerale del 1996-97 che divideva il Csm in due sezioni, una per i giudici e una per i pm. “Alla fine siamo noi l’eccezione nel mondo democratico, basta guardare a Francia e Germania”. L’Anm però risponde che, di fatto, la separazione delle funzioni già c’è. “Sì, l’Anm dice che la riforma non serve a nulla, ma vista la guerra che instaura ogni volta che se ne parla, vuol dire che il problema non è tanto il passaggio di funzione ma l’unitarietà della gestione politica del Csm che, come ha scritto Augusto Barbera, non è un luogo di rappresentanza: è un luogo di garanzia".
Zecchino è un giurista e un democristiano, cultore di Federico II di Svevia e di don Luigi Sturzo, che rivendica la radice garantista della tradizione popolare. “Noto con piacere che a favore della separazione delle carriere si sono espressi gli esponenti del filone garantista della sinistra, come Barbera sul vostro giornale. Ma questa concezione fa parte della nostra cultura politica. Già nel 1950 don Sturzo, straordinario profeta, scriveva che la magistratura rischiava di ‘divenire un pericolo più che un presidio’ per la democrazia”.
Ma anche tornando ai tempi più recenti, Zecchino ricorda che nell’atto fondativo del Ppi nel 1994, il partito erede della Dc guidato da Mino Martinazzoli, “c’era la separazione delle carriere del giudice e del pubblico ministero. Poi il tema diventò un tabù perché l’ala bindiana prese il sopravvento sull’anima garantista della nostra cultura”. Qualche tentativo è stato fatto, anche dai democristiani. “Nel 1993 De Mita era presidente della Bicamerale e fu costretto a dimettersi per l’arresto del fratello Michele, proprio nei giorni in cui la Bicamerale stava trattando la separazione delle carriere. De Mita dichiarò pubblicamente che la mattina in cui si sarebbe dovuto discutere quel delicato tema fu raggiunto da un fax di diffida dei sostituti procuratori di Milano, che invitavano a non prendere alcuna decisione in merito”.
Il tentativo successivo c’è stato nella Bicamerale D’Alema con il suo emendamento che divideva il Csm in due sezioni. “Era un tema che suscitava forti discussioni. Tra l’altro, dopo che presentai la proposta, anche io per una strana coincidenza ricevetti un avviso di garanzia per un fatto marginale risalente a 10 anni prima. D’Alema non era contrario, ma mi disse ‘non sono in grado di reggerlo nel partito’. Nonostante il fuoco di sbarramento dell’Anm l’emendamento passò”. L’approvazione con i voti del Polo delle libertà e del Ppi, anche se il gruppo dei popolari si divise: si astennero Bressa ed Elia, mentre votarono a favore Zecchino, De Mita, il segretario Franco Marini e l’attuale Capo dello stato Sergio Mattarella. Poi la Bicamerale fallì “perché Berlusconi decise di far saltare il banco, ma anche quell’emendamento ebbe un ruolo”. L’affronto non fu dimenticato. “Un anno dopo, quando D’Alema si avvivava a formare il governo nel 1998 e nel totoministri circolava il mio nome come probabile ministro della Giustizia, il presidente dell’Anm Almerighi dichiarò che se fossi diventato io Guardasigilli i magistrati che erano al ministero si sarebbero dimessi in blocco. Fu costretto lui a dimettersi da presidente dell’Anm”.
Che fine ha fatto la cultura garantista tra i democristiani di sinistra che ora sono nel Pd? “Prevalgono ragioni di autoconservazione, bisogna assecondare la segreteria che decide le candidature”. Alla fine il referendum diventerà un voto pro o contro Meloni. “Non sarebbe corretto, anche perché il fronte a sinistra non è così compatto su questo tema. Ma se vanno alla battaglia invocando la fine del mondo faranno solo un favore alla Meloni”.