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Ecco la sentenza, resa definitiva dalla Cassazione, che smonta le bufale sui legami tra Berlusconi e la mafia

Ermes Antonucci

Da giorni c’è chi sostiene che la sentenza in questione “non esiste” e che si tratta di “fake news”. Vale la pena far parlare direttamente le carte giudiziarie. Ecco i passaggi della sentenza, passata in giudicato, che smentisce i principali capisaldi del mito della mafiosità di Berlusconi

Gli antiberlusconiani eterni, anche postumi, non riescono a darsi pace dopo la notizia, pubblicata sul Foglio, della sentenza della Cassazione che ha escluso qualsiasi legame tra Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Cosa nostra. Nei giorni scorsi abbiamo fatto notare il fenomeno di negazionismo che si è attivato dopo la pubblicazione dell’articolo. Da giorni c’è chi sostiene che la sentenza in questione “non esiste” e che si tratta soltanto di “fake news”. Visto che, come dice l’antico proverbio, gli scritti restano e le parole (in questo caso le bufale) volano, vale la pena far parlare direttamente le carte giudiziarie. Una breve premessa. Come abbiamo già spiegato su queste pagine, la sentenza della Cassazione esiste, è datata 16 ottobre 2025, e dichiara inammissibile il ricorso che la procura generale di Palermo aveva presentato contro la decisione della Corte d’appello palermitana che ha rigettato l’applicazione di misure di prevenzione (sorveglianza speciale e confisca dei beni) nei confronti di Dell’Utri e dei suoi famigliari. Stessa decisione, contraria alle misure di prevenzione, era stata adottata dal tribunale di Palermo. La tesi della procura di Palermo, secondo cui il patrimonio accumulato da Dell’Utri nel corso degli anni avesse una natura illecita o mafiosa, è stata quindi smentita in tutti e tre i gradi di giudizio. In definitiva, dichiarando inammissibile il ricorso, la Corte di cassazione ha reso definitiva la sentenza della Corte d’appello, di cui abbiamo riportato nei giorni scorsi i passaggi fondamentali. 

 

Pur riguardando una procedura di applicazione di misure di prevenzione, la sentenza della Corte d’appello – ora passata in giudicato – non si limita a escludere che il patrimonio di Dell’Utri ha avuto natura illecita, ma adotta una prospettiva molto più ampia, arrivando a smentire i principali capisaldi del mito della mafiosità di Berlusconi e del suo impero imprenditoriale. Di seguito riportiamo i passaggi più importanti.


Il ruolo di Dell’Utri

Negli ultimi giorni, i negazionisti della non mafiosità del Cav. hanno sventolato con indignazione la sentenza definitiva emessa nel 2014 ai danni di Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, evidentemente senza aver letto né i nostri articoli né la stessa sentenza. Non abbiamo mai scritto, infatti, che la Cassazione aveva “rivisto” quella sentenza definitiva. E’ la sentenza della Corte d’appello di Palermo, tuttavia, a richiamare quella sentenza e a inquadrarla nella giusta dimensione. I giudici scrivono infatti che fino al 1992 Dell’Utri ha svolto un ruolo di “mediazione operata per garantire a Cosa nostra la riscossione da Berlusconi di ingenti somme di denaro a titolo di pizzo relativo all’esercizio del gruppo Fininvest”. Per i giudici i versamenti registrati negli anni 70-80 da Berlusconi a Dell’Utri sono riconducibili a una “matrice estorsiva” da parte della mafia: “Ed infatti, pur essendo stato giudizialmente acclarato il ruolo di tramite (nella ricerca da parte di Berlusconi di protezione, e poi nei periodici versamenti riconducibili ad una matrice estorsiva), in nessun procedimento è emerso che quella fosse l’unica ragione della sua vicinanza a Berlusconi (o addirittura che la sua stessa collaborazione lavorativa nelle società del gruppo imprenditoriale di Berlusconi costituisse una mera ‘schermatura’ o il risultato di un’imposizione da parte del sodalizio mafioso)”.

 

Il ruolo svolto da Dell’Utri viene definitivamente chiarito dalla Corte d’appello in un altro passaggio, in cui si parla di “mediazione che altro non era che l’imposizione di un ‘pizzo’ di rilevantissima consistenza” da parte di Cosa nostra ai danni di Berlusconi. 

 

In primo grado, con la sentenza del 13 marzo 2024, anche il tribunale di Palermo si era occupato della questione con parole ancora più chiare: “La tesi dell’organo proponente inverte quello che è stato l’accertamento svolto in sede penale. Lì, infatti, è stato accertato che Berlusconi, per il tramite di Dell’Utri, ha pagato cospicue somme di denaro a Cosa nostra: inizialmente per proteggere sé ed i suoi familiari dal rischio di attentati e, in particolare, di rapimenti, poi, dalla fine degli anni 70, per sventare il rischio di attentati alle ‘antenne’ ovvero ai trasmettitori che diffondevano il segnale delle televisioni della Fininvest in Sicilia”. 
Insomma, Dell’Utri è stato condannato per aver fatto da tramite per il pagamento del pizzo da Berlusconi alla mafia, che minacciava attentati ai suoi danni. 

 

Fininvest non è nata grazie ai finanziamenti della mafia

La sentenza della Corte d’appello di Palermo, resa definitiva dalla Cassazione, smentisce anche la leggenda secondo la quale il gruppo Fininvest è nato grazie ai finanziamenti della mafia. I giudici infatti ricordano che “è stato dimostrato che per tutte le 18 operazioni realizzate tra le 22 società del gruppo ‘Holding Italiana’ (detentrici delle quote sociali di Fininvest), negli anni dal 1978 al 1985, per un ammontare quantificato complessivamente in 93.933 milioni di lire, è stato possibile identificare l’origine lecita della provvista”. Su questo punto i giudici ricordano la vicenda che ha coinvolto Francesco Giuffrida, il funzionario della Banca d’Italia che aveva svolto il ruolo di consulente della procura di Palermo in un’inchiesta del 1994 per riciclaggio nei confronti di Dell’Utri e Berlusconi. Nella sua consulenza sulle origini finanziarie di Fininvest, Giuffrida lasciò irrisolte otto operazioni, alimentando la leggenda dei capitali mafiosi. L’indagine venne archiviata nel 1999, ma la perizia di Giuffrida divenne un cavallo di battaglia a livello mediatico degli antiberlusconiani. Citato in giudizio per danni da Fininvest, Giuffrida accettò una transazione riconoscendo la parzialità del suo lavoro. 


Scrivono i giudici della Corte d’appello di Palermo: 
“Già il consulente tecnico del pm, Dott. Giuffrida, aveva accertato che per 7 operazioni, realizzate tra il 30.4.1980 ed il 15.11.1985, aventi un flusso finanziario complessivo di 1.802 milioni di lire, dovevano escludersi apporti finanziari esterni; che per 3 operazioni effettuate tra il 7.12.1978 ed il 19.12.1979, aventi un flusso finanziario complessivo di 56.660 milioni di lire era stato effettuato un cd. ‘giro finanziario chiuso’; erano, tuttavia, rimaste dubbie le restanti 8 operazioni, risalenti al periodo tra il 7.12.1978 ed il 31.12.1984, per un importo pari a 37.395 milioni di lire, nel senso che il perito aveva ravvisato l’impossibilità di identificare l’origine della provvista. 
Tale incertezza era stata interpretata, nella sentenza di primo grado del processo per concorso esterno, resa in data 11.12.2004 dal tribunale di Palermo, nel senso che non era possibile ‘risalire in termini di assoluta certezza e chiarezza, all’origine... lecita od illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione della Holdings del gruppo Fininvest’. 
A seguito di tale pronuncia, Fininvest avviava un’azione civile, con atto di citazione del 26.2.2006, nei confronti del Dott. Giuffrida per il risarcimento dei danni all’immagine derivati alla società in conseguenza della grave negligenza del consulente nello svolgimento dell’incarico. Ed invero, per le operazioni del 26.3.1984 e del 16.5.1984, sarebbe bastata la lettura del conto corrente intestato a Berlusconi presso la Banca Rasini – di cui il Giuffrida conosceva l’esistenza – per chiarire che la provvista degli assegni circolari emessi a titolo di finanziamento soci era costituita da addebiti su tale conto corrente; le restanti 6 operazioni costituivano ‘giri finanziari chiusi’: cioè una serie di giroconti dello stesso importo in pari data e valuta tra un definito numero di soggetti del gruppo Fininvest, che non pongono problemi di identificazione dell’origine dei flussi finanziari introdotti dall’esterno, proprio perché le disponibilità utilizzate per realizzare l’operazione sono già all’interno del Gruppo stesso.
Nella comparsa di costituzione e risposta del 17.5.2006, il Giuffrida ammetteva che il suo lavoro di ricostruzione era stato ‘parziale ed incompleto’ e che le sue conclusioni, rappresentavano una mera ipotesi di lavoro, suscettibile di integrazioni, correzioni ed approfondimenti.
Il procedimento civile si era poi concluso con l'atto di transazione del 27.7.2007 nel quale si legge che il Dott. Giuffrida: “All’esito di una prospettazione maggiormente organica delle operazioni (...) e della relativa documentazione già disponibile, riconosce i limiti delle conclusioni rassegnate nel proprio elaborato e delle dichiarazioni rese al dibattimento ed inoltre che le predette operazioni oggetto del suo esame consulenziale erano tutte ricostruibili e tali da escludere l’apporto di capitali di provenienza esterna al Gruppo Fininvest’. 
Allo stato degli atti, dunque, le dichiarazioni di taluni collaboranti su investimenti mafiosi in Fininvest, risultano smentite dal dato oggettivo dell’esclusione di apporto di capitali esterni alle imprese del Gruppo”.

 


Fininvest non ha mai riciclato denaro della mafia

La sentenza della Corte d’appello di Palermo, resa definitiva dalla Cassazione, smentisce che il gruppo Fininvest abbia mai riciclato soldi di Cosa nostra: “Non è risultata, ad oggi, mai processualmente provata l’attività di riciclaggio di Cosa nostra nelle imprese berlusconiane. Del resto, ad avviso della Corte, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia richiamati nell’appello a sostegno della tesi della procura, non sono – prima ancora che reciprocamente riscontrate – neppure attendibili in parte qua, tant’è vero che in nessun processo penale ne è stata affermata la rilevanza per affermare la sussistenza di investimenti mafiosi nel gruppo Fininvest, tramite l’intervento del Dell’Utri”.
 

 

Berlusconi non ha pagato Dell’Utri per il suo silenzio sui presunti rapporti con la mafia

La sentenza della Corte d’appello di Palermo, resa definitiva dalla Cassazione, smonta anche l’ultima tesi fantasiosa che è stata costruita attorno al rapporto fra il Cav. e Dell’Utri (tanto da spingere i pm di Firenze ad aprire persino un’indagine), e cioè che le somme di denaro versate nel corso degli anni dal Cavaliere al suo storico amico e collaboratore (circa 42 milioni di euro) non fossero il frutto del rapporto di amicizia e di lavoro fra i due, bensì il risultato di un “patto occulto” finalizzato a ottenere il “silenzio” di Dell’Utri sull’esistenza di indimostrati accordi con Cosa nostra. Accordi che, secondo i pm fiorentini, riguarderebbero addirittura le stragi del 1993-1994.

 

I giudici scrivono: “Ad avviso della Corte, salvo che non venga provata la ratio illecita delle donazioni, dei prestiti infruttiferi, delle transazioni, i suddetti versamenti non possono ravvisarsi, sol per la loro entità – giustificata, peraltro, dal giro d’affari astronomico dell'impero Berlusconiano, a cui il Dell’Utri, in Publitalia 80, aveva grandemente contribuito, per molti anni, con ruoli direttivi di primo piano, suscettibili di compensi altrettanto straordinari – sintomatici di illiceità originata da condotte delittuose tra due soggetti che, di contro, è certo, fossero legati da un rapporto fiduciario di amicizia e di lavoro, dagli anni 60 ai giorni nostri. Del resto, ad avviso della difesa, riscontrano l’assunto del tribunale le dichiarazioni dello stesso Berlusconi (sit 25.5.1996, doc. 14) che attribuiva al Dell’Utri il merito di avere fondato Publitalia 80 ed affermava l’intesa tacita tra di loro, di ripagarlo, negli anni, dei meriti dell’enorme successo dell’impresa: ‘D’altra parte, non potendo per ragioni aziendali e di mercato portare le retribuzioni oltre un certo livello, la mia riconoscenza personale verso Marcello e i principali altri collaboratori, passavano appunto attraverso donazioni che facevo con i miei fondi e di mia iniziativa, ed a puro titolo di gratitudine personale’”. 

 

In primo grado, anche il tribunale di Palermo aveva bocciato la tesi secondo cui i versamenti erano finalizzati a ottenere il silenzio di Dell’Utri sui rapporti di Berlusconi con Cosa nostra: questa tesi, “pur se estremamente suggestiva, presta il fianco alla finora indimostrata esistenza di accordi fra il sodalizio criminale e Berlusconi, sia in campo imprenditoriale che politico. A fronte, infatti, di un tanto grave ed eclatante scenario (sullo sfondo della tesi formulata dalla pubblica accusa), va evidenziato che a nessun approdo giudiziario sono giunte le indagini in passato condotte su tali ipotesi investigative; anche le dichiarazioni accusatorie rese sul punto da alcuni collaboratori sono state valutate e ritenute (già in fase cautelare, laddove anche solo ‘sufficienti indizi’ sarebbero bastati per l’emissione del decreto di sequestro) inattendibili o non sufficientemente dettagliate ed affidabili. In ogni caso, anche ove si ipotizzasse il concorso fra Dell’Utri e Berlusconi in condotte illecite (condivise, ma mai rivelate dal proposto, nonostante la detenzione patita), il successivo passaggio logico che giunga a sostenere che gli ingenti versamenti altro non fossero che il corrispettivo riconosciuto a Dell’Utri per il contributo fornito in quell’operazione o la remunerazione per il silenzio serbato con gli inquirenti, è decisamente privo di un fondamento oggettivo, esorbitante rispetto ad un rigoroso processo deduttivo (non essendo stato acquisito nessun elemento univoco che deponga per le causali appena indicate)”. 

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]