antiberlusconiani disperati
La Cassazione smonta la bufala su Berlusconi mafioso e scatta il negazionismo
La notizia, pubblicata sul Foglio, della sentenza della Cassazione che ha escluso legami tra Berlusconi, Dell’Utri e Cosa nostra è stata accolta con lutto da coloro che hanno speso oltre 30 anni della loro vita a costruire il mito del “Cav. mafioso”. Qualcuno ha persino detto che la sentenza "è inesistente". Ecco tutte le falsità
La notizia, pubblicata sul Foglio, della sentenza della Cassazione che ha escluso qualsiasi legame tra Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Cosa nostra è stata accolta con lutto da giornalisti e intellettuali che hanno speso oltre 30 anni della loro vita a costruire il mito del “Cav. mafioso”. Nelle ultime ore si è così assistito a un fenomeno di negazionismo, tanto che qualcuno ha sostenuto che la sentenza in questione “non esiste”, che si tratta di mera “propaganda” o di “fake news”. Questi tentativi di delegittimazione del nostro giornale, e di inganno dell’opinione pubblica, ci consentono di ribadire tre punti fondamentali. Primo. Non solo la sentenza della Cassazione esiste (è datata 17 ottobre 2025), ma a questa se ne aggiunge un’altra, del 20 settembre 2023, con la quale sempre la Suprema Corte respinse definitivamente la richiesta dei pm palermitani di sequestro dei beni di Dell’Utri, con conclusioni molto simili a quelle poi espresse nella pronuncia di pochi giorni fa, che smentiscono la grande leggenda sul Berlusconi vicino alla mafia.
C’è un secondo dato importante da evidenziare: non è affatto vero, come ha sostenuto disperatamente qualcuno, che la recente sentenza della Cassazione, che rigetta definitivamente la richiesta di applicare ai danni di Dell’Utri una misura di prevenzione personale e patrimoniale, si limita a escludere che il patrimonio dell’ex senatore di Forza Italia ha avuto natura illecita. La sentenza di inammissibilità della Cassazione conferma la precedente pronuncia della Corte d’appello di Palermo che adotta una prospettiva molto più ampia, e arriva a smentire i principali capisaldi del mito della mafiosità di Berlusconi e del suo impero imprenditoriale.
Innanzitutto viene inquadrata nella giusta dimensione la sentenza di condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa emessa ai danni di Dell’Utri, che fino al 1992 ha svolto un ruolo di “mediazione operata per garantire a Cosa nostra la riscossione da Berlusconi di ingenti somme di denaro a titolo di pizzo relativo all’esercizio del gruppo Fininvest”. I versamenti registrati negli anni 80 da Berlusconi a Dell’Utri sono infatti “riconducibili a una matrice estorsiva” da parte della mafia. Come tanti altri imprenditori, dunque, Berlusconi fu costretto a pagare “un pizzo di rilevantissimo importo” a fronte della minaccia di attentati alla ex Standa e ai ripetitori televisivi in Sicilia. Come sia stato possibile per i giudici arrivare a condannare Dell’Utri per “concorso esterno in associazione mafiosa” è ancora un mistero, e chissà se una risposta arriverà dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, a cui lo storico amico di Berlusconi ha fatto ricorso.
Un altro mito che viene smontato dalla Cassazione riguarda il sospetto, alimentato per decenni dal circolo antimafia, che il gruppo Fininvest sia nato grazie ai finanziamenti della mafia. Anche questo viene smentito dalla sentenza ora definitiva della Corte d’appello palermitana. I giudici infatti ricordano che “è stato dimostrato che per tutte le 18 operazioni realizzate tra le 22 società del gruppo 'Holding Italiana' (detentrici delle quote sociali di Fininvest), negli anni dal 1978 al 1985, per un ammontare quantificato complessivamente in 93.933 milioni di lire, è stato possibile identificare l’origine lecita della provvista”, e di conseguenza “escludere apporti finanziari esterni”.
Ancora, i giudici smentiscono l’altro teorema secondo cui il gruppo Fininvest sarebbe stato utilizzato, tramite Dell’Utri, da Cosa nostra per riciclare denaro: “Non è risultata, a oggi, mai processualmente provata alcuna attività di riciclaggio di Cosa nostra nelle imprese berlusconiane”, né nella fase iniziale di fondazione del gruppo né nei decenni successivi.
Viene infine smontata l’ultima tesi fantasiosa che è stata costruita attorno al rapporto fra il Cav. e Dell’Utri (tanto da spingere i pm di Firenze ad aprire persino un’indagine), e cioè che le somme di denaro versate nel corso degli anni dal Cavaliere al suo storico amico e collaboratore non fossero il frutto di amicizia o del riconoscimento dei meriti avuti per l’enorme successo di Fininvest e Publitalia, bensì il risultato di un “patto occulto” finalizzato a ottenere il “silenzio” di Dell’Utri sull’esistenza di indimostrati accordi con Cosa nostra. “Tesi indimostrata e illogica”, scrivono i giudici d’appello, mentre il tribunale di Palermo l’aveva bollata come “estremamente semplicistica e indimostrata”.
Il terzo elemento da sottolineare è che le sentenze sulle misure di prevenzione, anziché essere meno “credibili”, sono ancora più importanti, perché in questi procedimenti non si richiedono prove o indizi rigorosi come nel processo penale, ma sono sufficienti semplici indizi o presunzioni.
In definitiva, il lutto dei sostenitori della bufala su “Berlusconi e la mafia” è destinato a durare a lungo.