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Influenze in debito
Per difendere De Pasquale, il Financial Times attacca la magistratura e insinua un complotto che non c'è
Alla vigilia della sentenza d'appello contro il pm e il suo collega Spadaro, il quotidiano inglese dà voce ad alcuni “attivisti anti corruzione” secondo i quali i due stanno pagando il prezzo per aver tentato di perseguire l'Eni
Stavolta l’Anm non ha prodotto uno dei suoi duri comunicati a difesa dell’indipendenza della magistratura, come generalmente fa contro i giornali critici. Né il Csm ha chiesto l’apertura di una “pratica a tutela”, come usualmente fa quando le toghe vengono “delegittimate”. Eppure l’articolo del Financial Times a difesa dei pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, alla vigilia della sentenza nel processo in cui sono imputati, è un attacco alla magistratura italiana.
Il quotidiano britannico dà voce ad alcuni “attivisti anti corruzione” secondo i quali De Pasquale e Spadaro stanno “pagando il prezzo per aver tentato di perseguire la più grande azienda italiana, di cui lo stato è il principale azionista”, cioè l’Eni. “È estremamente insolito che i procuratori italiani vengano processati per la condotta delle loro indagini”, scrive il Ft. La tesi, sostenuta dagli attivisti, è che in realtà l’obiettivo è più ampio: “Un deliberato tentativo di porre fine alle indagini sulle società italiane per corruzione internazionale”. Il racconto suggestivo è che ci sarebbero dei coraggiosi pm anti corruzione che hanno osato sfidare i poteri forti e finiscono per essere condannati da un sistema corrotto. “C’è puzza di interferenza politica”. In pratica la magistratura in Italia, in questo caso la procura di Brescia e il tribunale che ha condannato i due pm in primo grado, non sarebbe diversa da quella che c'è in Russia, Venezuela o Iran: processa e condanna su input politico, nell’interesse dello stato o del governo.
È una tesi ridicola in generale, se si ha una vaga percezione di come funzioni la giustizia italiana e – soprattutto in questa fase – se si considera quanto conflittuali siano i rapporti fra le toghe e il governo. Ma è ancora più infondata nello specifico, se si ha una conoscenza neppure troppo approfondita degli atti giudiziari e dei protagonisti del caso Eni-Nigeria. De Pasquale ha accusato la società petrolifera italiana di aver pagato insieme a Shell una tangente da 1,1 miliardi di dollari (la più grande mazzetta della storia) per assicurarsi un giacimento petrolifero in Nigeria. Come è noto, tutti gli imputati sono stati assolti. E non una volta. I tre filoni separati e paralleli della vicenda Eni-Nigeria si sono conclusi allo stesso modo: tutti assolti. Non è che sono mancate le prove, la tangente non è mai esistita: era il prezzo della licenza esplorativa.
Nel processo di appello, cosa più unica che rara, la procura generale di Milano ha chiesto l’assoluzione di tutti gli imputati e criticato aspramente tutto l’impianto accusatorio di De Pasquale: “Questo processo deve finire perché non ha fondamento”, disse la pg Celestina Gravina ai giudici. Come se non bastasse, durante il processo è emerso che i pm De Pasquale e Spadaro hanno nascosto prove alla difesa che dimostravano l’inattendibilità dei principali testi dell’accusa. Queste prove le aveva trovate Paolo Storari, pm nella stessa procura di De Pasquale e Spadaro, che lavorando su un filone parallelo aveva segnalato ai colleghi l’importanza delle nuove evidenze e la necessità di depositarle nel processo. De Pasquale e Spadaro, che in tutti i modi hanno tentato di vincere un processo che non stava in piedi, anche cercando di infangare il presidente del collegio giudicante Marco Tremolada, non lo hanno fatto. E per questo, solo per questo, ora sono a processo a Brescia, dove sono stati condannati in primo grado a otto mesi per rifiuto d’atti d’ufficio. La condotta di De Pasquale è stata peraltro già censurata dal Csm, che non gli ha confermato l’incarico di procuratore aggiunto per “l’assenza dei prerequisiti della imparzialità e dell’equilibrio”. Questo è il giudizio dell’organo di governo autonomo della magistratura, non del cda dell’Eni.
Ma allora a chi ha dato voce il Financial Times? Uno è Drago Kos, ex capo del gruppo di lavoro sulla corruzione internazionale dell’Ocse che collaborava con De Pasquale. Kos ha già fatto uscite singolari a proposito della vicenda Eni-Nigeria, ad esempio accusando i giudici italiani per le “troppe assoluzioni” nei processi di corruzione. L’altra voce è quella di Simon Taylor, fondatore di Global Witness, una delle ong che con un esposto alla procura di Milano ha fatto partire l’inchiesta di De Pasquale contro l’Eni. Il quotidiano britannico avrebbe potuto chiedere delucidazioni a personalità più qualificate e imparziali, come ad esempio Elizabeth Gloster, la giudice dell’Alta corte inglese che aveva già smontato in una sentenza del 2013 il teorema corruttivo poi abbracciato dalla procura di Milano.
Oggi la Corte d’appello di Brescia potrà anche assolvere De Pasquale e Spadaro, ma gli argomenti diffusi dal Ft per condizionare i giudici alla vigilia del giudizio sono davvero fragili. Storari, il tribunale di Milano, la procura generale di Milano, la procura di Brescia, il tribunale di Brescia, il Csm, l’Alta corte inglese... c’è troppo affollamento per ritenere credibile un complotto dei “poteri forti” contro i pm “scomodi”. Se c’è una cosa che il caso Eni-Nigeria avrebbe dovuto insegnare è che non si muovono accuse sulla base di suggestioni e insinuazioni.