Fabio De Pasquale (foto Ansa)

la sentenza

I pm De Pasquale e Spadaro condannati anche in appello: hanno nascosto prove nel processo Eni-Nigeria

Ermes Antonucci

La Corte d’appello di Brescia ha confermato la condanna a otto mesi nei confronti dei due magistrati per rifiuto di atti d’ufficio, per non aver depositato prove favorevoli alle difese degli imputati 

La Corte d’appello di Brescia ha confermato la condanna a otto mesi nei confronti dei magistrati Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro per rifiuto di atti d’ufficio, per non aver depositato prove favorevoli alle difese degli imputati nel processo Eni-Nigeria, conclusosi nel 2022 con l’assoluzione di tutti e 15 gli imputati. Anche per il collegio d’appello, quindi, De Pasquale e Spadaro hanno volontariamente nascosto alle difese prove favorevoli agli imputati (violando l’obbligo previsto dalla legge in capo ai pubblici ministeri), in particolare quelle che dimostravano l’inattendibilità del principale testimone valorizzato dagli inquirenti, l’ex manager Eni Vincenzo Armanna, grande accusatore della compagnia petrolifera.

 

Il sostituto procuratore generale Enrico Ceravone aveva chiesto la conferma della condanna di primo grado, affermando che “non si può dubitare del dolo” dei due pm, che “avevano l’obbligo” di mettere a disposizione delle difese degli imputati del processo Eni-Nigeria il materiale che era stato sottoposto alla loro attenzione dal collega Paolo Storari: una videoregistrazione risalente al 2014 in cui Vincenzo Armanna, prima della denuncia di corruzione nei confronti della compagnia petrolifera, esprimeva propositi ritorsivi nei confronti dell’azienda, minacciando di far cadere “una valanga di merda” e “avvisi di garanzia”; le chat in cui Armanna concordava il versamento di 50 mila dollari a due testimoni; le prove di falsificazione di altre conversazioni; alcuni messaggi in cui Armanna indottrinava un testimone in vista del processo. Prove che, come aveva stabilito il tribunale di Brescia in primo grado, se depositate avrebbero portato all’assoluzione degli imputati già all’udienza preliminare.

 

Al contrario, i due magistrati – sempre nelle parole dei giudici bresciani – “hanno utilizzato solo ciò che poteva giovare alla propria tesi, tralasciando chirurgicamente i dati nocivi che pure erano stati portati alla loro attenzione dal dott. Storari”. Tutto ciò per giustificare il grande investimento di tempo e risorse riservato all’inchiesta Eni-Nigeria, che negli intenti della procura di Milano (all’epoca guidata da Francesco Greco) avrebbe dovuto svelare l’esistenza della più grande tangente della storia, quella da 1,3 miliardi di dollari che i vertici di Eni e Shell avrebbero pagato ai politici nigeriani per aggiudicarsi i diritti di esplorazione sul blocco petrolifero Opl-245. L’“inchiesta del secolo” si è invece trasformata in uno dei più gravi scandali della storia della magistratura italiana. 

 

Interpellati in primo grado sulle ragioni per le quali decisero di ignorare le segnalazioni di Storari, i due pm hanno risposto di aver ritenuto quel materiale “ciarpame” inutilizzabile, “un minestrone” che conteneva “elementi non pertinenti”, se non addirittura “una polpetta avvelenata” (affermazione di De Pasquale). Spadaro si è spinto persino oltre e, sfidando l’evidenza dei fatti, ha persino dichiarato che le prove in realtà “erano a sostegno dell’accusa”. 

 

“Questo processo è il frutto di un’indagine svolta in violazione delle garanzie fondamentali della pubblica accusa nel processo penale e, in sostanza, un processo profondamente ingiusto”, ha detto proprio Spadaro ieri prima che il collegio si riunisse per emettere la sentenza. Una presa di posizione paradossale (ciò che è emerso fuori da alcun dubbio è la violazione delle garanzie fondamentali delle difese degli imputati di Eni-Nigeria), tendente a rappresentare il processo nei propri confronti come una sorta di attentato all’indipendenza dei magistrati. Ma, come ha ben chiarito il tribunale di Brescia, “ciò che si contesta agli imputati non è l’uso improprio del potere discrezionale nella scelta degli elementi probatori da spendersi nel dibattimento”, ma il fatto che quella autonomia “non può tradursi in una sconfinata libertà di autodeterminazione tale da rendere discrezionali anche le scelte obbligate”. Scelte obbligate come quella prevista dall’articolo 430 del codice di procedura penale, secondo cui le prove acquisite dalla pubblica accusa in seguito al decreto che dispone il giudizio devono essere “depositate immediatamente” nella propria segreteria a disposizione delle parti. 

 

Nonostante la gravità delle accuse a loro rivolte, De Pasquale continua a svolgere la funzione di sostituto procuratore a Milano (come se non bastasse, il Csm non lo ha confermato come procuratore aggiunto per la sua “assenza di imparzialità ed equilibrio”), mentre Spadaro è stato promosso alla procura europea. 
 

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]