
l'intervista
“Castellucci in carcere? In Italia clima da gogna contro i manager”. Parla Vito Gamberale
L'ex ad di Tim e Autostrade: "Incomprensibile attribuire a Castellucci il cedimento del guardrail nell'incidente di Avellino. Il capo azienda non è un Dio onnipresente e onnisciente"
“Negli ultimi anni si è diffusa in Italia l’idea del capo azienda come un Dio onnipresente e onnisciente, e che di conseguenza è responsabile di tutto ciò che accade, in un clima di rabbia sociale e di gogna che ricorda le tricoteuse che durante la Rivoluzione francese applaudivano alle decapitazioni mentre lavoravano a maglia. E’ una situazione assurda, che produce come effetto anche quello di rendere il nostro paese ancora meno attrattivo rispetto ai capitali esteri”. Così, intervistato dal Foglio, Vito Gamberale commenta la sentenza con cui la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva a sei anni di reclusione l’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia (Aspi), Giovanni Castellucci, per l’incidente del viadotto di Acqualonga, accaduto il 28 luglio 2013 in provincia di Avellino. Un autobus precipitò da un viadotto dell’autostrada, causando la morte di 40 persone. Nei giorni scorsi sono state depositate le motivazioni della sentenza della Cassazione (in primo grado Castellucci era stato assolto dalle accuse, verdetto poi ribaltato in appello).
La Suprema Corte ha confermato la condanna per disastro colposo e omicidio colposo di Castellucci, che dal 12 aprile si trova in carcere, attribuendo dunque all’amministratore delegato di una società di quasi diecimila dipendenti, e che gestisce circa 2.800 chilometri di autostrade, la responsabilità per il cedimento di un guardrail. “Il capo azienda ha la responsabilità di imporre la sicurezza nella propria organizzazione, e quindi di creare codici, regole e procedure di sicurezza. Poi però non può essere ritenuto responsabile di ogni cosa che accade; la sicurezza si dirama per i vari rami aziendali, finendo per incidere sul responsabile ultimo dell’unità aziendale cui compete la specifica operatività”, dice Gamberale, che nella sua lunga carriera da manager è stato ad di Sip, Tim e proprio Autostrade, oltre che del fondo F2i.
“Nel caso in questione – aggiunge riferendosi alla condanna di Castellucci – in Autostrade già esistevano precise regole per la sicurezza e non penso che di quel guardrail, che poi purtroppo ha ceduto, si sia mai parlato in una riunione del consiglio di amministrazione di Aspi, o in un comitato alla presenza di Castellucci. Ricondurre quindi a quest’ultima figura la tragedia di Avellino mi sembra incomprensibile. Ci sono i responsabili dei tronchi che hanno proprio la responsabilità della sicurezza dei tratti autostradali. Nei confronti del capo azienda non può valere la logica del ‘non poteva non sapere’”.
“Il dolore per i morti è umanamente grande, incancellabile, ma il dolore dei famigliari delle vittime non si ripaga mettendo in carcere Castellucci”, afferma Gamberale. “Io non ho mai avuto rapporti di feeling con Castellucci ma giustizia e realtà devono essere giustizia e realtà. Invece in Italia si è sviluppato un clima di rabbia sociale verso coloro che siedono ai vertici delle aziende, ai quali viene addossata la responsabilità di qualsiasi atto o evento, anche il più periferico. Una rabbia alimentata dagli organi di stampa, che trattano questi argomenti in maniera sommaria, tendono a colpevolizzare i manager e ad auspicare la loro punizione pubblica. Mi viene in mente il caso di Mauro Moretti, ex ad di Ferrovie dello Stato, condannato in via definitiva per l’incidente di Viareggio, insieme al suo collega Vincenzo Soprano, anch’egli ex ad di Fs”.
“Da alcuni anni assistiamo alla persecuzione di persone che si sono assunte delle responsabilità nel paese. Chi ricopre l’incarico di manager non lo fa perché ha vinto il biglietto della lotteria di Capodanno, ma perché se l’è meritato, ha dato dimostrazione delle proprie capacità. Eppure queste persone in Italia non vengono mai valorizzate e se succedono incidenti parte la gogna contro di loro”, sottolinea il manager. “Questa situazione costituisce anche uno dei grandi problemi che questo paese ha nell’attrarre capitali stranieri. In pochi hanno riflettuto sul fatto che da quando è avvenuta la tragedia della Thyssenkrupp, con la seguente condanna dei vertici aziendali tedeschi, la Germania di fatto non ha più investito in attività industriali in Italia, mandando propri manager”, conclude Gamberale.