Vista dell'ingresso del carcere Pagliarelli in Sicilia (Foto di Valeria Ferraro/Anadolu tramite Getty Images) 

Carceri, l'emergenza infinita che il governo non vede

Enrico Cicchetti

Affollamento record, caldo insopportabile e suicidi in aumento. La vera emergenza è ora, e riguarda lo stato di diritto. Il rapporto di Antigone 

C’è un’Italia che continua a restare fuori dal dibattito politico, eppure racconta meglio di altre l’idea che lo stato ha di sé: le carceri. L’ultimo rapporto di Antigone – presentato con un titolo che è già una dichiarazione d’intenti: “L’emergenza è adesso” – restituisce l’immagine di un sistema penitenziario al collasso. I numeri sono implacabili: 62.728 detenuti a fronte di 51.276 posti regolamentari. Ma di quei posti, più di 4.500 sono indisponibili. Significa che in realtà il tasso di affollamento sfiora il 134 per cento e, in alcuni istituti, tocca picchi che sfidano la decenza: 190 per cento a San Vittore, Foggia, Lodi e Regina Coeli.

   

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Non è solo questione di cifre. È la fotografia di vite compresse in spazi che non garantiscono nemmeno i 3 metri quadrati a testa stabiliti dalla Corte di Strasburgo come soglia minima per non scivolare nella tortura. È l’immagine di celle a 37 gradi d’estate, con ventilatori venduti a pagamento e accessi limitati all’acqua. È la descrizione di un regime chiuso – il 60 per cento dei detenuti passa gran parte della giornata recluso in cella – che trasforma la pena da afflittiva a insopportabile.

Il governo risponde, come sempre, con annunci edilizi: 7.000 nuovi posti entro fine anno. Peccato che nell’ultimo anno ne siano stati realizzati appena 42. Nel frattempo i letti reali diminuiscono e le carceri minorili, gonfiate dal decreto Caivano, esplodono: un aumento del 50 per cento in meno di tre anni. A pagarne il prezzo sono ragazzi spesso in attesa di giudizio, che dormono su materassi a terra e vedono crescere il consumo di psicofarmaci.

La sanità penitenziaria non se la passa meglio: il 14 per cento dei detenuti ha diagnosi psichiatriche gravi, un quinto assume psicofarmaci, ma in 29 istituti il medico di notte non c’è. Gli atti di autolesionismo sono 22 ogni 100 detenuti; i suicidi, 45 dall’inizio dell’anno. È un bollettino di guerra che riguarda soprattutto i più fragili: giovani, senzatetto, persone con disturbi psichiatrici.

E nel resto d’Europa? L’Italia non è sola nel confrontarsi con problemi penitenziari, ma si distingue in negativo. Secondo i dati del Consiglio d’Europa, il nostro paese ha uno dei più alti tassi di sovraffollamento penitenziario tra gli stati membri. La media europea si attesta intorno al 90 per cento, con Francia e Belgio poco sopra la soglia critica del 100 per cento, ma è in Italia che l’emergenza è ormai strutturale. Non solo: mentre Germania, Olanda e paesi nordici hanno investito da tempo in misure alternative e in forme di giustizia riparativa, da noi la reclusione resta il default. In Norvegia, un detenuto ha in media 10 metri quadrati di spazio, accesso costante a istruzione, lavoro, contatti con l’esterno. In Italia, in molti istituti, non si riesce nemmeno a garantire il diritto alla doccia quotidiana.

Eppure, come ricorda Antigone, l'associazione che si occupa dei diritti dei detenuti, le alternative esistono e sono sempre le stesse. Ci sono quasi 24 mila detenuti con pene residue sotto i tre anni: potenzialmente idonei a misure esterne, che però restano sottoutilizzate. Il nuovo disegno di legge del governo – detenzione domiciliare in comunità terapeutica per tossicodipendenti con pene fino a otto anni – suona come apertura, ma nasconde un paradosso: sostituisce l’affidamento in prova (più aperto, più rieducativo) con una misura comunque detentiva. Il garantismo non è buonismo: significa chiedersi se la pena serve davvero a ridurre il reato o solo a moltiplicare rancore e recidiva.

Il punto politico è qui. L’esecutivo costruisce nuovi reati e annuncia nuove carceri, mentre sarebbe opportuno valutare una strada diversa, scrive l'ong: ridurre l’isolamento, aumentare i contatti con l’esterno, usare la tecnologia per tenere i detenuti dentro il tessuto sociale invece che tagliarlo. Non è utopia: è la Costituzione, quella che parla di pena come “rieducazione” e non come vendetta.

La vera emergenza – conclude Antigone – non è domani, è ora. Ed è la misura del nostro stato di diritto: come trattiamo chi non ha più diritti, o pensa di non averne. Le carceri, oggi, dicono che quella misura l’abbiamo smarrita.

  • Enrico Cicchetti
  • Nato nelle terre di Virgilio in un afoso settembre del 1987, cerca refrigerio in quelle di Enea. Al Foglio dal 2016. Su Twitter è @e_cicchetti