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la sentenza

Le conseguenze del giudizio della Consulta sulle pensioni d'invalidità

Giuliano Cazzola

Con la sentenza n.94/2025 si stabilisce l'integrazione al minimo dell'assegno ordinario di invalidità, liquidato interamente con il sistema contributivo. In questa prospettiva potrebbe trovare una risposta strutturale anche la conclamata "pensione di garanzia"

Lo scorso 3 luglio, con la sentenza n. 94/2025, la Corte costituzionale ha stabilito il diritto all’integrazione al trattamento minimo dell’assegno ordinario di invalidità pensionabile (fino a 603 euro mensili) anche nel sistema contributivo. E’ un provvedimento, non retroattivo, importante soprattutto per le prospettive che apre nell’ambito del sistema pensionistico. La cosiddetta riforma Dini (legge n.335/1995) non prevedeva per i soggetti interamente sottoposti al regime contributivo (i nuovi assicurati dal 1° gennaio 1996) alcun meccanismo di solidarietà infragenerazionale. Mentre nel calcolo retributivo (dal 2012 solo misto pro rata) questa funzione viene svolta dall’integrazione al trattamento minimo stabilito dalla legge (a cui si aggiungono in taluni casi anche le cosiddette maggiorazioni sociali) e indicizzato all’inflazione, nel contributivo è prevalente una logica di adeguatezza, nel senso che, a seconda delle diverse tipologie di trattamento, oltre ai classici requisiti anagrafici e contributivi deve essere fatto valere, quale ulteriore condizione per il pensionamento, il conseguimento di un determinato importo della prestazione, ragguagliato a quello dell’assegno sociale che nel 2025 è pari a 538,69 euro al mese per 13 mensilità.  


Per esempio, nel caso della pensione di vecchiaia un’età anagrafica di 67 anni e una contributiva minima di 20 anni a condizione che l’importo del trattamento non risulti inferiore, dopo le ultime modifiche,  a una volta  il valore dell’assegno sociale. Questo vincolo non è più richiesto a 71 anni con almeno 5 anni di versamenti. La Corte – nella fattispecie – sviluppa il suo giudizio mediante una particolare interpretazione della normativa vigente. Ad avviso dei giudici delle leggi la preclusione all’applicazione del trattamento minimo alla pensione solo contributiva non riguarda l’assegno ordinario di invalidità, erogato nel medesimo regime. Di conseguenza il divieto introdotto dalla legge n. 335/1995 deve ritenersi limitato alle “pensioni” propriamente dette, escludendo l’assegno ordinario di invalidità per via delle sue peculiarità: temporaneità, assenza di reversibilità e funzione vicaria. Tanto più che “l’assegno in esame si sottrae al giudizio di disvalore espresso dall’ordinamento nei confronti della fuoriuscita anticipata dal mercato del lavoro”, ma è destinato a sopperire a situazioni in cui il lavoratore ha perso, per via dell’invalidità, una rilevante percentuale della sua capacità lavorativa e, quindi, la possibilità di accumulare un montante contributivo adeguato”. 


Pur riconoscendo che il giudizio è circoscritto al solo assegno ordinario di invalidità, la sentenza si presta – secondo la Cgil – a essere letta come un segnale forte di apertura verso una possibile reviviscenza mirata e selettiva dell’integrazione al minimo anche nel regime contributivo. In prospettiva, infatti, potrebbero risultare coinvolte altre prestazioni previdenziali – come le pensioni derivanti da carriere frammentate – che condividano analoghe criticità di insufficienza rispetto ai bisogni tutelati dall’art. 38, secondo comma, della Costituzione. In sostanza, la sentenza n. 95 del 3 luglio scorso potrebbe aprire la strada a un intervento legislativo che estenda la funzione di tutela dell’integrazione al minimo anche nel regime contributivo, magari senza farsi coinvolgere dalle smanie di quelle forze che vogliono elevare tale livello al punto da scoraggiare la regolarità contributiva. E in questa prospettiva potrebbe trovare una risposta strutturale anche la conclamata “pensione di garanzia”, rivolta in particolare ai giovani la cui condizione nel mercato del lavoro continua ad essere descritta alla mercè di una dilagante precarietà, senza darsi cura di cogliere le novità intervenute negli ultimi anni.

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