Claudio Foti, lo psicoterapeuta titolare del Centro studi “Hansel & Gretel” onlus fuori dal tribunale di Reggio Emilia, l’11 novembre 2021 (foto Ansa) 

Si può parlare di Bibbiano

Ermes Antonucci

Le motivazioni (depositate ieri) con cui il gup ha condannato in primo grado lo psicoterapeuta Claudio Foti sono uno squarcio su un mondo da indagare: il giustizialismo applicato all’infanzia. Una controstoria

Ha instillato il falso ricordo di un abuso sessuale nella testa di una bambina. Sono state depositate le motivazioni con cui lo scorso novembre il gup di Reggio Emilia, Dario De Luca, ha condannato a quattro anni in abbreviato lo psicoterapeuta Claudio Foti, principale protagonista dello scandalo di Bibbiano, incentrato su un presunto sistema di affidi illeciti di minori nei comuni della Val d’Enza, basato sulla falsificazione di relazioni e la manipolazione delle testimonianze dei bambini da parte di assistenti sociali e psicologi nella gestione di sospetti casi di abusi sessuali. Foti, titolare della onlus torinese “Hansel e Gretel”, è stato condannato con l’accusa di abuso d’ufficio e lesioni dolose gravi, mentre è stato assolto dall’accusa di frode processuale (il gup ha invece disposto il rinvio a giudizio per 17 indagati, tra cui l'ex sindaco di Bibbiano Andrea Carletti). 

  

La sentenza è ancora di primo grado e dunque va esaminata con la giusta prospettiva, in ossequio al principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza. Seppur provvisoria, però, la sentenza sembra assumere un’importanza quasi storica, visto che per la prima volta riconosce in maniera significativa il nesso tra il metodo psicoterapeutico praticato da Foti e dai suoi collaboratori (quello dell’emersione dei ricordi rimossi dell’abuso), fortemente contestato sul piano scientifico, e l’alterazione psichica dei pazienti minori. Un metodo, come abbiamo raccontato più volte in passato, a cui si sono rifatti molti assistenti sociali e psicologi al centro dei principali processi basati su accuse di abusi su minori poi smentite in sede giudiziaria (Angela Lucanto, i “Diavoli della Basse modenese”, Rignano Flaminio).

    

La sentenza è di primo grado e va esaminata con la giusta prospettiva. Ma qualche elemento per ragionare c’è

 
   
Nelle motivazioni della sentenza, il giudice afferma chiaramente che con un utilizzo “improprio” della tecnica Emdr (metodo psicoterapeutico del tutto legittimo e validato scientificamente che consente di trattare gli eventi traumatici), Foti non solo “instillava” in una minorenne "il ricordo dell’abuso, ma anche il dubbio che a perpetrare tale violenza potesse essere stato il padre”, generando così nella ragazza una “grandissima sofferenza e un fortissimo disagio” tali da condurla, nel 2018, “completamente fuori controllo”. La tecnica dell’Emdr si basa sull’utilizzo di movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra ed è funzionale al recupero di ricordi già presenti nella memoria del paziente (ma "accantonati") e non certamente – sottolinea il gup – “all’emersione di ricordi di cui il paziente non abbia alcuna memoria”. 

  

Nella terapia in disamina la ragazza non ricordava il fatto storico, non aveva contezza di un evento traumatico 

  
Rilevante, ai fini della valutazione dell’operato di Foti, è stata la testimonianza resa dalla dottoressa Isabel Fernandes, presidente dell’associazione Emdr Italia, che ha inequivocabilmente affermato che Foti ha fatto ricorso a tale tecnica, in occasione della seduta svolta con la minore, in violazione dei protocolli Emdr: “La tecnica Emdr può essere utilizzata su ricordi traumatici di cui un soggetto è ovviamente in possesso. Questo è un punto importante da considerare perché non avrebbe alcun senso effettuare Emdr su un soggetto rispetto a un evento traumatico su cui quel soggetto non ha ricordi o che addirittura non è affatto avvenuto. Il dato di partenza, in altre parole, è che un soggetto sia certo di aver vissuto un'esperienza traumatica e che tale circostanza sia da lui riportata consapevolmente al suo terapeuta. Quella di cui mi è stata data lettura non costituisce terapia Emdr in quanto ben lontana dal protocollo dell'Emdr. Nella terapia in disamina la ragazza non ricordava il fatto storico, non aveva contezza di un evento traumatico episodico di riferimento e soprattutto Foti indicava ad essa che la finalità dell'Emdr era recuperare ricordi e frammenti di ricordi, cosa non vera. Foti inoltre interveniva ripetutamente durante la terapia. Risultando quasi prevalente rispetto allo stesso paziente durante il racconto, formulando ipotesi, interpretando, suggerendo e facendo domande incalzanti ed anche suggestive circa le risposte che evidentemente si attendeva". 
Per il giudice emblematica per l'accertamento del reato contestato appare l’unica seduta di psicoterapia captata nel corso delle indagini, tenutasi nell’ottobre 2018 presso il centro “La Cura” di Bibbiano. In quell’occasione, infatti, Foti, “senza mezzi termini, perseverando nel ricorso a modalità fortemente suggestive, suggerenti ed induttive, nonché proseguendo l'opera di denigrazione delle figure genitoriali” della minore già cominciata nel 2016, si esprimeva con queste parole nei confronti dei genitori stessi della ragazza: “Come ogni bambina credevi a tuo padre e vivi impatti con l'esperienza pesante violenta che ti fa perdere fiducia ... non credi in tuo padre ... ci credevi ... non ci credi ... in tua madre tante esperienze che hanno rovinato lei ... ma cosa ti presenta il modello che alla lunga è rovinoso ... modello intendo adesso definirlo servile ... tuo padre ti aveva proposto sesso e violenza da quel che sappiamo ... tua madre non ti ha assolutamente proposto sesso e violenza ... ma comunque ti propone anche lei un modello cioè ehhh ... da quello che avevamo visto ... magari è da rivedere un attimo ... cioè ... io ti faccio attenzione io ti seguo io ti aiuto io ti do delle cose ...però poi tu devi seguire un certo modello di vita... ".

 
Così, a fronte “dei numerosi eventi sfavorevoli che hanno segnato la crescita” della ragazzina “la psicoterapia, che avrebbe potuto e dovuto trattare questi eventi - spiega il gup – si è invece esclusivamente concentrata sull'emersione del tema dell'abuso, andando da un lato a generare la grandissima sofferenza interiore legata alle rivelazioni indotte sul padre e dall'altro a far progredire il disagio della ragazza relativamente a tutti gli altri eventi non trattati dalla psicoterapia”. 

 

Le modalità con le quali Foti conduceva le sedute “hanno provocato alla ragazza un disturbo di personalità”

 
Il risultato è che “le modalità fortemente pregiudizievoli” con le quali Foti conduceva le sedute, “anche mediante l'errato utilizzo della tecnica dell’Emdr”, hanno provocato alla ragazza “un disturbo di personalità borderline e un disturbo depressivo con ansia, accertati dal consulente tecnico del pm” a seguito dell'audizione della ragazza e dell'intero suo nucleo familiare. 
Per il giudice vi sono numerosi elementi che conducono a ritenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l'agire di Foti fosse sorretto dal dolo: le competenze tecnico-professionali e l’esperienza trentennale di Foti, “le modalità pregiudizievoli di svolgimento della psicoterapia e l'errato utilizzo dell’Emdr”, e la reiterazione delle condotte. Afferma il giudice: “Tutti questi elementi, tra i quali in particolar modo lo scrivente ritiene oltremodo significative le elevate competenze professionali possedute dall’imputato, portano a ritenere che Foti, nel condurre la psicoterapia con tali modalità scorrette ed invasive - modalità di cui certamente deve ritenersi consapevole - si fosse senza dubbio rappresentato con ragionevole ‘certezza soggettiva’ la verificazione di conseguenze lesive dell'equilibrio psichico della paziente”. Sussistono anche le aggravanti, posto che l'imputato “ha agito sia profittando della minore età, all'epoca dei fatti, e dello stato di fragilità” della ragazza, “sia abusando della sua posizione di psicoterapeuta”. 

 
Leggendo le motivazioni della sentenza, si scopre inoltre che l’assoluzione di Foti dall’accusa di frode processuale si basa sull’assenza di “elementi dai quali poter ricavare con certezza il suo intento consapevolmente ingannatorio”, cioè che l’innesto del falso ricordo nella mente della ragazza avesse “lo scopo specifico di ingannare il ctu e il giudice”. Anche su questo reato, tuttavia, a prescindere dall’assenza del dolo (difficilmente dimostrabile in simili circostanze), la ricostruzione del giudice è molto netta: “E’ innegabile che Foti sia riuscito ad alterare lo stato psicologico” della minore, “convincendola della malignità del padre”. 

 
In particolare, così come ricostruito dai consulenti del pubblico ministero, emerge come Foti abbia nel corso delle sue sedute: “dato per assodato, fin dal primo incontro”, che la ragazza “avesse subito qualcosa di orribile da bambina”; “introdotto, per primo, il tema della violenza e dell'abuso”; “connotato ogni vissuto” della ragazza “in termini di abuso sessuale”; “insistito, nell'arco di tutte le sedute, sulle violenze sessuali” (arrivando più volte a definire la paziente una “sopravvissuta”); “compiuto una costante opera di denigrazione delle figure genitoriali della ragazza”. 

 
Per il giudice sono quindi “dimostrate le modalità pregiudizievoli della psicoterapia condotta dall'imputato”: “Emerge inconfutabilmente come la minore, in un costante crescendo, abbia mutato il proprio atteggiamento e le proprie emozioni verso il padre, tanto da arrivare a odiarlo e a ritenerlo il potenziale autore della presunta violenza da lei subita all'età di 4 anni”. Per quanto, tuttavia, Foti fosse perfettamente a conoscenza delle vicende processuali pendenti, civili e penali, riguardanti la ragazza e in particolare del procedimento civile inerente alla capacità genitoriale del padre e della madre, per il giudice, come detto in precedenza, manca la “certezza” del “suo intento consapevolmente ingannatorio”, da qui l’assoluzione per questo capo di imputazione. 

    

Foti “instillava il ricordo dell’abuso, ma anche il dubbio che a perpetrare tale violenza potesse essere stato il padre”

   
Per quanto riguarda, infine, la condanna per abuso d’ufficio, per il gup è emerso che il servizio di psicoterapia venne affidato “di fatto” dall'Unione Comuni Val d'Enza alla Hansel & Gretel, facente capo a Foti, “in spregio alle specifiche regole di condotta contenuta nelle normative in materia”, e che Foti (concorrente esterno del reato) “partecipò attivamente alla realizzazione di questo affidamento” che gli ha consentito di "procurarsi un ingiusto vantaggio patrimoniale". Il vantaggio per Foti è consistito, riassume il gup, nella percezione indebita di denaro pubblico, fatturando il prezzo di 135 euro per ogni seduta oltre che nell'utilizzo dei locali de “La Cura” (struttura pubblica) senza averne titolo, locali ai quali invece gli psicoterapeuti della onlus Hansel e Gretel avevano libero e incondizionato accesso. Il giudice descrive anche il “cervellotico, certamente inusuale”, sistema attraverso cui veniva retribuita la psicoterapia, cioè con fatture per le sedute emesse nei confronti delle famiglie affidatarie, che pagavano alla onlus il corrispettivo indicato, ricevendo poi dal servizio sociale un contributo mensile maggiorato del costo sostenuto per la terapia. Per il giudice Foti era “certamente e pienamente consapevole dell'illegittimità del servizio di psicoterapia”, dei prezzi praticati per ogni seduta e “della stranezza del meccanismo ideato per i pagamenti”.

  
Al di là delle questioni contabili/amministrative e delle presunte “creste” sulle sedute di psicoterapia, la sentenza di condanna nei confronti di Foti assume particolare importanza proprio perché per la prima volta in un’aula di giustizia è stata riconosciuta la possibilità che nei bambini possano essere instillati falsi ricordi di abusi sessuali, tramite l’uso improprio di tecniche psicoterapeutiche e un approccio (dal taglio “inquisitorio”) basato sulla convinzione che occorra “tirare fuori” dai minori i ricordi delle violenze. Ora bisognerà vedere se la lettura fornita dal gup reggerà anche nei successivi gradi di giudizio.

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