Indagini archiviate. Ecco il Pio Trivulzio spiegato a Lerner

Ermes Antonucci

I pm chiedono di archiviare il caso. Nella rsa lombarda non ci fu nessuna "strage di anziani" o "epidemia insabbiata", come titolava Rep. 

Non ci fu nessuna “strage nascosta di anziani” al Pio Albergo Trivulzio (Pat) di Milano durante la prima ondata della pandemia da Covid-19, nei primi mesi del 2020. La procura di Milano ha chiesto l’archiviazione dell’indagine a carico della storica casa di cura milanese e del suo ex direttore generale Giuseppe Calicchio, indagati per epidemia colposa, omicidio colposo e violazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, per la morte di diversi pazienti ospitati nella struttura durante la prima ondata della pandemia. Per i pm Mauro Clerici e Francesco De Tommasi, coordinati dall’aggiunto Tiziana Siciliano, dalle approfondite indagini effettuate “non è stata acquisita alcuna evidenza di condotte colpose o comunque irregolari, casualmente rilevanti nei singoli decessi, in ordine all’assistenza prestata”.

 

Anzi, si legge ancora nella richiesta di archiviazione nei confronti dell'ente e dell’ex dg (difesi dall'avvocato Vinicio Nardo), “con riguardo ai singoli casi, neppure sono state accertate evidenze di carenze specifiche, diverse dalle criticità generali, riguardo le misure protettive o di contenimento, che possano con verosimiglianza avere inciso sul contagio dei singoli soggetti”.

  

L’indagine era nata in seguito alle denunce di alcuni familiari di pazienti morti nell’istituto e poi di alcuni dipendenti che lamentavano carenze di dispositivi di protezione individuale. Anche se a dare risalto alla vicenda fu – come evidenziato dagli stessi pm – la “pubblicazione di notizie allarmanti sui mezzi di informazione”.

    
Il coinvolgimento del Pio Albergo Trivulzio, luogo simbolo della stagione di Mani Pulite, alimentò infatti la fantasia dei giornalisti. “‘Strage dei nonni’: è la Mani Pulite delle case di riposo”, titolò il Fatto quotidiano, anche se fu Gad Lerner su Repubblica (con un’inchiesta intitolata “L’epidemia insabbiata”) a dare avvio alla campagna mediatico-giudiziaria sulla presunta “strage nascosta” al Pat e nelle altre Rsa lombarde. L’accusa mossa dai quotidiani nei confronti dei vertici della struttura era di aver contribuito alla morte di oltre cento anziani, per esempio intimando al personale medico di non utilizzare le mascherine, e di aver poi occultato i dati relativi ai decessi dei pazienti. Un quadro smentito prima dalla commissione d’inchiesta istituita dalla regione Lombardia e ora anche dai magistrati.

   
Quasi a non voler smentire completamente le denunce presentate dai familiari dei pazienti deceduti, tuttavia, nella richiesta di archiviazione i pm affermano come sia emersa “una certa sottovalutazione iniziale del rischio” dei contagi da Covid-19 “da parte della dirigenza” del Pat, “in un’ottica che pare diretta a occultare più che a risolvere le difficoltà”. Un passaggio a dir poco ambiguo, se si considera che a detta degli stessi pm “d’altra parte, non è stata acquisita alcuna prova che vi siano state condotte di tal fatta, dolose o ascrivibili a titolo di colpa cosciente, che abbiano avuto conseguenze sulla diffusione del contagio”, e se si tiene conto anche del contesto in cui i dirigenti del Pat si ritrovarono ad agire.

  

Un contesto ricordato dagli stessi inquirenti: “Le caratteristiche straordinarie di diffusione e letalità che in concreto il fenomeno pandemico – non paragonabile nelle sue manifestazioni effettive con altri recenti allarmi pandemici – ha assunto già nel marzo 2020 in particolare in Lombardia, hanno fatto sì che le indicazioni e le misure precauzionali dettate dalle autorità sanitarie (dall’Oms alle Ats) e politico amministrative (governo e regione) abbiano dovuto essere più volte implementate, risultando – alla stregua degli sviluppi dell’infezione – a lungo inadeguate”.

   

Anche i criteri di tracciamento e contenimento del virus, di cui il personale lamentava la tardiva applicazione, “non risultavano ancora adeguatamente introdotti, sviluppati e articolati dalle disposizioni delle autorità sanitarie nazionali e regionali” e la loro “effettiva realizzazione si sarebbe al tempo, in ogni caso, scontrata, con una drammatica insufficienza di mezzi (in particolare Dpi e tamponi predittivi)”.
 

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