Foto Ansa/Esclusiva del Quotidiano Domani 

Santa Maria Capua Vetere e “la reticenza di Bonafede”. Parla Magi

Ermes Antonucci

Oggi la Cartabia condanna i pestaggi in carcere e dispone approfondimenti. L'ex ministro invece defìnì le azioni compiute dagli agenti come “una doverosa operazione di ripristino della legalità”. Per il deputato di +Europa è il momento di aprire una indagine parlamentare per capire le condizioni delle galere italiane 

“Una doverosa operazione di ripristino della legalità”. Così lo scorso ottobre l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede definì in parlamento, per bocca del sottosegretario Vittorio Ferraresi, le azioni compiute il 6 aprile 2020 dagli agenti della polizia penitenziaria nei confronti dei detenuti reclusi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. All’epoca la vicenda era già oggetto dell’indagine della magistratura, esplosa in questi giorni con l’applicazione di 52 misure cautelari per agenti e funzionari della polizia penitenziaria (in tutto gli indagati sono 117). Era stato Riccardo Magi, deputato di +Europa-Radicali, a chiedere chiarimenti al Guardasigilli con un’interpellanza urgente. “Ciò che mi colpì maggiormente – dice ora Magi al Foglio – fu la reticenza del ministro della Giustizia nel condannare con chiarezza quei fatti, ovviamente utilizzando il condizionale che esprime la presunzione di innocenza. Mi sarei aspettato che un ministro, dotato di un senso delle istituzioni e della responsabilità del proprio ruolo, almeno dicesse: ‘Se i fatti dovessero essere accertati, saremmo di fronte a qualcosa di una gravità inaudita’. Invece ci fu una chiusura totale, ogni dubbio venne immediatamente spazzato via”. 


Non solo. Ferraresi, rispondendo per conto di Bonafede all’interpellanza, sostenne anche l’impossibilità per il ministero di svolgere accertamenti in concomitanza dell’indagine della procura. Ma, sottolinea Magi, “ciò non toglie che il Dap potesse svolgere una propria indagine interna e verificare se le numerosissime segnalazioni circa il comportamento degli agenti, provenienti dai familiari dei detenuti, da legali, da associazioni (in particolare Antigone) e dal Garante regionale dei detenuti, fossero fondate o meno”. A confermarlo, del resto, è proprio la decisione adottata dall’attuale ministro della Giustizia, Marta Cartabia, di chiedere approfondimenti sull’intera catena di informazioni e responsabilità a tutti i livelli, che hanno consentito quanto accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Il ministro Cartabia ha anche espresso “la più ferma condanna per la violenza e le umiliazioni inflitte ai detenuti, che non possono trovare né giustificazioni né scusanti”.


Insomma, la sensazione è che per comprendere a pieno la reticenza con cui il ministero della Giustizia ha gestito (e ignorato) i fatti relativi a quella che ora viene definita la “macelleria sammaritana” occorra tener conto anche del particolare clima politico che all’epoca caratterizzava il paese e anche il vertice del ministero di Via Arenula. Un clima segnato dall’esaltazione del carcere come unica modalità di espiazione della pena e dall’assoluto disinteresse per le condizioni disastrose degli istituti penitenziari. “Dobbiamo ricordare – dichiara Magi – che ci trovavamo nel momento di massima paura di contagio dovuto alla pandemia. Da un lato c’era chi, come noi, chiedeva l’adozione di misure che facilitassero l’accesso a misure alternative al carcere. Il sovraffollamento, unito alla pandemia, rischiava infatti di produrre effetti devastanti. Dall’altro lato, c’erano il ministro Bonafede, che adottava misure insufficienti poiché riservate a una platea ristretta di detenuti, e Salvini, che accusava il ministro di creare uno svuotacarceri. Ricordo benissimo qual era il clima in parlamento in quel momento, con la Lega e altri partiti che dicevano: ‘Mentre gli italiani sono chiusi in casa per il lockdown voi volete fare uscire i detenuti’”. Del resto, l’allora capo del Dap, Francesco Basentini, fu costretto a dimettersi proprio per le polemiche legate alla cosiddetta vicenda dei “boss mafiosi scarcerati” (in seguito i numeri avrebbero dimostrato che non era avvenuta alcuna uscita di massa di mafiosi dalle carceri). “Ma – aggiunge Magi – ci fu reticenza anche da parte del Partito democratico, che in quel momento era al governo e ora chiede al ministro Cartabia di riferire in Parlamento”. 


Per il deputato di +Europa-Radicali, i fatti di Santa Maria Capua Vetere dovrebbero indurre la politica anche ad aprire “una vera indagine conoscitiva a livello parlamentare per capire in che condizioni sono le carceri italiane oggi. Metà dei detenuti sono in carcere perché hanno violato la legge sugli stupefacenti o perché sono tossicodipendenti, ma è una questione che non si vuole affrontare. Non si vuole vedere come in Italia una delle normative più repressive a livello europeo sul tema degli stupefacenti da trent’anni abbia riempito le carceri di persone, senza aver diminuito il traffico di stupefacenti”.
 

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