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contrappasso giustizialista

Autostrade, la procura non può attendere i tempi della politica populista

"Non possiamo attendere i tempi della giustizia penale", diceva Conte il 16 agosto 2018. Ma la giustizia penale, per quanto lenta, è stata comunque più veloce della politica a Cinque stelle. Cronaca dell'inconcludenza sovranista

All'indomani del crollo del ponte Morandi, Conte predicava soluzioni rapide. Due anni e quattro mesi dopo, arriva l'arresto dell'ex ad di Aspi Castellucci. Ma la trattativa per la revoca è ancora impantanata

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Erano partiti col piglio decisionista. “Non possiamo aspettare i tempi della giustizia penale”, sentenziava Giuseppe Conte, con accanto i due dioscuri del cambiamento Luigi Di Maio e Matteo Salvini, all’indomani del crollo del Ponte Morandi di Genova, col tono sbrigativo di chi abbandona le cautele che pure si confanno a chi ha fama di cultore del diritto per assumere la risolutezza dell’“avvocato del popolo”. Fare in fretta, bisognava. Arrivare subito alla revoca della concessione a quei mascalzoni dei Benetton, senza adeguarsi alle attese bibliche a cui sempre costringono i tribunali italiani. Era il 16 agosto del 2018: l’estate del populismo gialloverde.

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Erano partiti col piglio decisionista. “Non possiamo aspettare i tempi della giustizia penale”, sentenziava Giuseppe Conte, con accanto i due dioscuri del cambiamento Luigi Di Maio e Matteo Salvini, all’indomani del crollo del Ponte Morandi di Genova, col tono sbrigativo di chi abbandona le cautele che pure si confanno a chi ha fama di cultore del diritto per assumere la risolutezza dell’“avvocato del popolo”. Fare in fretta, bisognava. Arrivare subito alla revoca della concessione a quei mascalzoni dei Benetton, senza adeguarsi alle attese bibliche a cui sempre costringono i tribunali italiani. Era il 16 agosto del 2018: l’estate del populismo gialloverde.

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Due anni, tre mesi e 25 giorni dopo, l’Italia si sveglia con la notizia dell’arresto di Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Aspi all’epoca del crollo, di Michele Donferri Mitelli e Paolo Berti, rispettivamente ex responsabile delle manutenzioni e direttore centrale operativo dell’azienda. Tutti e tre agli arresti domiciliari. La procura di Genova li accusa di attentato alla sicurezza dei trasporti e di frode in pubbliche forniture: insomma i vertici di Aspi sapevano, secondo l’accusa, del potenziale pericolo per la sicurezza degli automobilisti legato alla difettosità delle barriere fonoassorbenti installate sulla rete autostradale (e non solo sulla tratta genovese), ma si sarebbero operati per occultare questo rischio, anziché affrontarlo.

 

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L’inchiesta, avviata un anno fa, è nata per gemmazione da quella principale sul crollo del viadotto Polcevera, e ne costituisce il terzo filone. Intercettazioni, perquisizioni, interrogatori, ricerche: tutta la complessa, lunga e articolata trafila di atti di cui si nutre la giustizia penale italiana. Che tuttavia, nella sua pachidermica lentezza, è riuscita a modo suo a emettere una sentenza prima che il governo di Giuseppe Conte, non più gialloverde ma nel frattempo diventato rosso giallo, abbia saputo portare fino in fondo a compimento il processo di revoca della concessione. Perché, dopo quasi due anni di promesse temerarie e ritirate in sordina, di slanci d’entusiasmo e contraddizioni insanabili, nel luglio scorso, al termine di un Cdm burrascoso durato tutta una notte, è stato scelto un percorso di nazionalizzazione di fatto di Aspi, estromettendo dunque i Benetton. Sennonché era talmente complesso, lungo e articolato, questo percorso, che sta ancora lì, sospeso a metà, col cda di Atlantia che continua a rigettare le offerte avanzate da Cassa depositi e prestiti per l’acquisizione delle quote previste. Tutto rimandato, al mese prossimo e poi a quello dopo ancora. E così, una trattativa che doveva essere fulminea e indolore, si sta risolvendo in uno stallo pasticciato. Nell’inconcludenza della politica, intanto, la giustizia fa il suo corso. Ché le procure, evidentemente, non possono aspettare i tempi del populismo.

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