Alessandro Sallusti (foto LaPresse)

Dopo la sentenza, s'attendono mea culpa

Redazione

La detenzione di Sallusti violò i diritti umani ma a qualcuno piaceva

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per l’ingiusta detenzione di Alessandro Sallusti. Il direttore del Giornale era stato condannato a 14 mesi per diffamazione e, prima di ricevere la grazia dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, aveva trascorso 21 giorni agli arresti. I giudici di Strasburgo, pur riconoscendo che gli articoli che riguardavano le vicende di un magistrato potevano integrare gli estremi della diffamazione, hanno ritenuto che la sanzione detentiva inflitta dalla Corte d’appello di Milano fosse “manifestamente sproporzionata” e pertanto ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 10 della Cedu (“ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione”): l’arresto di Sallusti è stato una pena non “necessaria in una società democratica”. All’epoca gran parte del mondo politico e dell’informazione si schierò dalla parte del direttore del Giornale, vista l’assurdità di una pena di quel tipo per un articolo che neppure aveva scritto lui. Ma, come al solito, quando si tratta di giornalisti di una certa area, soprattutto se berlusconiani, si fa fatica a solidarizzare. Perché sono considerati dei puzzoni e dei mezzi delinquenti, a prescindere. Così ai giornalisti del Giornale possono capitare cose che non accadono ad altri: non solo l’arresto del direttore, ma anche l’indagine per “violenza privata” ai danni del vicedirettore Nicola Porro con perquisizione della redazione e intercettazioni private spiattellate sui giornali con pubblico sputtanamento. L’assoluzione di Porro è arrivata dopo sei anni e nel frattempo è stato trattato da delinquente. Stesso trattamento riservato a Sallusti, con il direttore del fatto Marco Travaglio a scrivere che Sallusti un po’ se l’era andata a cercare e che pertanto “in uno stato di diritto, la giustizia fa il suo corso e il condannato sconta la pena”. Addirittura per Travaglio, concedendogli la grazia parziale, Napolitano aveva commesso un “abuso di potere”. E invece, in uno stato di diritto, l’abuso è quello di chi lo ha condannato: la pena inflitta a Sallusti è stata una violazione dei diritti umani. Anche se a qualcuno, tutto sommato, faceva piacere.

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