Licio Gelli (foto LaPresse)

Pm a caccia di spiriti

Luciano Capone

“Licio Gelli è pericoloso pure da morto”. Così la caccia ai fantasmi diventa il nuovo sport delle procure

Tre piani, trentadue vani e 11 mila metri quadrati di giardino e tante fioriere in cui nel 1998 furono trovati 160 chili in lingotti d’oro: Villa Wanda potrebbe diventare un bene dello stato. Il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi, ha chiesto la confisca della lussuosa dimora come misura di prevenzione a carico di persone pericolose. Il personaggio in questione non è un criminale qualsiasi, ma Licio Gelli, il venerabile maestro della P2, protagonista di tante vere e (altrettante presunte) trame della storia repubblicana. La peculiarità della richiesta di sequestro e confisca – su cui dovrà esprimersi il tribunale – è che Licio Gelli è morto. Da due anni. Ma secondo il procuratore Rossi è pericoloso anche da morto e, evidentemente, lo sarà di meno senza il godimento (si fa per dire) del bene. Dal punto di vista formale è tutto a posto, perché la legge consente di chiedere misure di prevenzione “a carico di persone pericolose anche se defunte”. E infatti il procedimento nasce da un dossier dell’allora questore Enrico Moja che, riepilogando tutte le malefatte del maestro massone, lo definiva una persona “abitualmente dedito a traffici delittuosi” e quindi perseguibile anche dopo la morte.

 

La vicenda è però un po’ paradossale, perché lo stato aveva già provato a togliere la villa al proprietario quando era vivo, senza mai riuscirci. In realtà una volta ce l’aveva fatta, nel 2006, quando la casa venne messa all’asta per recuperare le spese processuali per il crac del Banco Ambrosiano, ma Gelli se la ricomprò. Poi nel 2013 l’immobile venne sequestrato per un’accusa di evasione fiscale da 17 milioni, ma tutto andò in prescrizione e Gelli potè godersi la villa fino alla veneranda età di 96 anni. Ma la procura non demorde e si spinge anche nell’oltretomba.

 

Non si tratta di una storia molto diversa da quella di Giovanni Aiello, se non per il fatto che Aiello, a differenza di Gelli, era incensurato e non viveva in una lussuosa villa bensì in una casa normale. Era un ex poliziotto in pensione, ritenuto da diverse procure e dai media l’uomo nero delle trame degli ultimi decenni. Un nuovo Licio Gelli. Lo chiamavano “Faccia da mostro”, a causa di una cicatrice sul volto, e, sulla base delle deposizioni di vari pentiti a intermittenza, era stato accusato di tutto: le stragi di Capaci e via D’Amelio, gli omicidi di Nino Agostino e Ninni Cassarà, il fallito attentato dell’Addaura, le bombe sui treni, l’uccisione di un bambino e poi depistaggi e legami con la massoneria, la ‘ndrangheta e i servizi deviati. Di tutte queste accuse passate al setaccio da quattro procure – Palermo, Caltanissetta, Catania e Reggio – nessuna è mai stata dimostrata, anzi, nessun magistrato ha pensato neppure di chiedere un un rinvio a giudizio o una misura cautelare. Aiello ha vissuto da persona libera. Almeno finché non è morto. Perché dopo la procura di Catanzaro gli ha sequestrato la casa, la barca, il telefono e infine ha arrestato pure il suo cadavere. Prima per fare l’autopsia e poi per impedirne la cremazione.

 

La decisione di conservare la salma a future indagini probabilmente prende ispirazione dal memorabile precedente investigativo del dottor Antonio Ingroia, che da pm della procura di Palermo ordinò, a 50 anni dalla morte, la riesumazione del cadavere del bandito Salvatore Giuliano. L’ipotesi era che il cadavere di “Turiddu” fosse stato sostituito con uno che gli somigliava. Magari Giuliano era ancora vivo, forse se n’era andato a gestire un chiosco su una spiaggia dei Caraibi insieme a Elvis, chissà. Però grazie all’indagine di Ingroia e alla prova del Dna si scoprì che il cadavere di Giuliano...era quello di Giuliano.

 

Queste misure giudiziarie post-mortem possono sembrare eccessive, ma di fronte a defunti così pericolosi le persone normali non si rendono conto di quanto sia necessaria la caccia ai fantasmi. Lo spiega lo stesso Ingroia in un recente saggio in cui sostiene che la riforma costituzionale di Renzi sia stata “ispirata da Licio Gelli”: “L’Alieno Gelli si è impossessato di noi – scrive Ingroia – perché era tutt’altro che un alieno della classe dirigente di questo paese, prevalentemente antidemocratica e, se non criminale tout court, abituata a convivere con il mondo criminale ed a servirsene”. Ora, con il sequestro di Villa Wanda, Gelli sarà un alieno senzatetto.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali