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Una sentenza non fa scienza. Il caso di Johnson&Johnson

Redazione

L'azienda dovrà risarcire una donna con oltre 400 milioni di dollari perché secondo i giudici il talco potrebbe causare tumori alle ovaie. Ma l'Airc chiarisce: "Non ci sono prove scientifiche" 

Secondo un tribunale della California, l'uso del talco potrebbe causare tumori alle ovaie. Sulla base di questa motivazione, ieri la Corte superiore di Los Angeles ha condannato la Johnson&Jonhson a risarcire con 417 milioni di dollari una donna malata di tumore allo stadio terminale. L'accusa sostiene che l'azienda non ha scoraggiato l'uso di questi prodotti, nonostante alcuni studi collegherebbero il cancro alle ovaie all'uso del talco. Non è la prima causa intentata contro la Johnson&Jonhson per prodotti sospettati di provocare tumori, ma sicuramente quella di ieri è la più esosa: ci sono cinque precedenti nel Missouri, di cui quattro conclusi con la condanna della multinazionale, obbligata a pagare complessivamente 307 milioni di dollari. La sentenza più costosa per la società, fino a ora, è stata pari a 110 milioni di dollari. Altre cause sono ancora pendenti. 

     

Ma il danno peggiore per l'azienda, probabilmente, non è quello economico e il rischio di creare allarme nei consumatori è dietro l'angolo. Dopo ognuna di queste sentenze i media non hanno mai mancato di dare risonanza alla notizia, titolando in diversi casi (e paesi) in modo spropositato: “Il talco è cancerogeno”. Una conclusione non supportata, tuttavia, da evidenze scientifiche. “Le prove scientifiche non vanno nella stessa direzione della sentenza – spiega l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) sul suo sito – nella maggior parte dei casi non si nota alcuna relazione tra uso di talco e aumento del rischio”. Il post, che si può leggere qui, è stato scritto in seguito a una delle precedenti condanne della Johnson&Jonhson, quando l'azienda ha risarcito con 72 milioni di dollari la famiglia di Jackie Fox, una donna morta di tumore ovarico. La tesi dell'associazione, basata su una raccolta delle prove scientifiche disponibili, è che non ci sono studi a indicare che il talco è un possibile fattore di rischio per il tumore all'ovaio tra quelli che impiegano campioni più grandi e metodi più rigorosi. D'altra parte, spiega l'Airc, da quando negli anni Settanta le aziende che commercializzano talco e prodotti simili sono state costrette a rimuovere l'asbesto – lo stesso minerale contenuto nell'amianto – nessuno scienziato ha identificato né ipotizzato un meccanismo biologico che lega il talco al tumore. In ogni caso, l'unico studio considerato abbastanza rigoroso che ha indagato la relazione tra talco e tumore dell'ovaio non ha rilevato alcun legame.

   

La sentenza non è scienza, insomma. “Negli Stati Uniti, come in Italia – spiega l'Airc – una sentenza può non essere determinata da ciò che la scienza ha o non ha dimostrato. Il giudice (e, nel caso degli Stati Uniti, anche la giuria popolare) possono basare il giudizio su altri tipi di valutazione”. Così, nel caso della famiglia Fox: “La giuria popolare ha dato maggiore peso alla tesi dell'accusa, per cui sarebbe stato necessario quantomeno riportare un avvertimento cautelativo in etichetta, rispetto alla tesi della difesa, per cui non esistono solide dimostrazioni scientifiche della tossicità del talco”. Stando all'International Agency for Research on Cancer (Iarc), che fa capo all'Organizzazione mondiale della sanità, il talco non contaminato da asbesto, quindi quello in commercio per uso intimo, è "non classificabile tra i carcinogeni umani". L'unico caso in cui lo Iarc considera il talco come “possibile carcinogeno per l'uomo" è negli usi a livello perineale (cioè genitale o intravaginale). Ma l'Airc precisa: "Chi ha fatto uso, nel passato, di talco a livello genitale non ha particolari ragioni per allarmarsi".  

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